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Moralia Blog

Io sono il mio corpo. La corporeità come «potenza del mondo»

Si apre con questo contributo una nuova area del blog Moralia dedicata, in modo più specifico, alle questioni riguardanti l’etica sessuale (prima incluse nell’area bioetica).

La scelta nasce dalla necessità di dare maggior rilievo a problematiche attuali e di grande interesse, che pongono sempre più interrogativi al credente di oggi.

Sembrano avere valore universale le parole che papa Francesco riferisce ai giovani nell’esortazione apostolica Christus vivit: «I giovani riconoscono che il corpo e la sessualità sono essenziali per la loro vita e per la crescita della loro identità. Tuttavia, in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive. Per questa e per altre ragioni, la morale sessuale è spesso causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna. Nello stesso tempo, i giovani esprimono un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità» (Christus vivit, n. 81).

I post che si susseguiranno cercheranno di aprire questo confronto, superando quell’approccio deterministico che per tanto tempo ha accompagnato lo studio della morale sessuale e aprendosi a un confronto transdisciplinare con la filosofia, la psicologia, la sociologia e le neuroscienze che sia capace di favorire una prospettiva diversa in merito a temi così delicati, e al contempo centrali nella vita dell’uomo di oggi.

(Roberto Massaro)

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«Io ho il mondo attraverso il mio corpo come potenza di questo mondo»[1].

Partendo dalla fenomenologia della percezione Maurice Merleau-Ponty, esponente di spicco della fenomenologia francese del Novecento e originale interprete del pensiero husserliano, intende ricucire lo strappo che il paradigma dualistico cartesiano aveva procurato tra res cogitans e res extensa, liberando il soggetto dal rischio dell’astrattismo e ricollocandolo nel «corpo proprio», condizione necessaria dell’esperienza umana, apertura percettiva al mondo, spazio in cui si realizza l’esistenza totale.

Così Merleau-Ponty recupera e approfondisce la lezione del suo maestro Edmund Husserl, distinguendo il corpo oggetto (Körper) dal corpo vissuto dal soggetto (Leib) ed escludendo ogni sua concezione strumentale.

Il valore della corporeità

Lo sforzo della fenomenologia (oggi anche neurofenomenologia) consiste nel recuperare la corporeità come dimensione costitutiva della persona, punto di riferimento privilegiato per interpretare l’essere nel suo darsi concreto. Se io sto nella realtà attraverso il mio corpo vuole dire che, come afferma Gabriel Marcel, «io non ho un corpo, ma sono il mio corpo».

Il corpo è in divenire, porta i segni del tempo, unisce la trama di relazioni dello spazio che abita, esprime la propria interiorità, mostra le ferite inferte dalla storia personale. L’osmosi tra corporeità ed esistenza consente una visione autenticamente integrale della persona ed è una porta di accesso alla sua esperienza soggettiva.

Questo dato è confermato anche dalle scienze umane: tutte le teorie psicologiche convergono nell’affermare che l’identità va intesa come un’unità della relazione tra i tre livelli della vita psichica (psicofisiologico, psicosociale, razionale-spirituale), esigenze diverse e sempre attive dell’unico io.

Riscoprire il valore della corporeità, dunque, permette di definire un’antropologia autenticamente in prima persona.

Una corporeità sessuata

Questa esigenza è quanto mai necessaria quando ci riferiamo a una corporeità sessuata.

La sessualità, ricorda Merleau-Ponty, fornisce una chiave di accesso alla vita del soggetto perché s’innesta sulla totalità della sua esistenza. In effetti per le scienze umane la dimensione sessuale svolge un’importante funzione simbolica che esprime il sé. Ne sono prova le caratteristiche che il padre della psicanalisi le attribuiva, confermate da M. A. Friedrich: l’ubiquità (comportamenti non sessuali esprimono difficoltà nell’area sessuale) e la plasticità (motivazioni non sessuali determinano comportamenti sessuali).

Quando cosifichiamo la sessualità, recidendo il suo legame con l’identità personale e i suoi vissuti, rompiamo il processo di simbolizzazione, negandoci la comprensione di ciò che effettivamente la persona sta esprimendo e scivolando facilmente nel giudizio morale o nella patologizzazione del comportamento.

Dovremmo piuttosto chiederci quale significato assume la sessualità nella vita di quella persona ricordando che, come asseriva Sigmund Freud, «ogni atto umano ha un senso» (Introduzione alla psicanalisi, 1917). Pertanto si può interpretare autenticamente un comportamento sessuale solo a partire dalla persona che lo mette in atto.

Appunti per un rinnovato paradigma morale

La teologia morale dovrà affrancarsi dall’astrattismo, frutto di un approccio che considera la sessualità una realtà aprioristicamente determinata, per favorire un paradigma che legga il comportamento sessuale nella persona, rendendo così sempre più esplicita la sua diaconia nei confronti della coscienza e della sua formazione.

A motivo della complessità che questo comporta è necessario che essa superi una certa autoreferenzialità metodologica a favore di un approccio inter-transdisciplinare, che sappia sostenere le sfide poste dalla complessità di un’antropologia integrale.

Se il corpo è espressione di una soggettività intesa come risultato dell’interazione sistemica di svariati fattori (sociali, culturali, relazionali, psicologici…), allora il rapporto tra natura e cultura va ripensato fuori da schemi neo-dualistici (biologismo-determinismo, essenzialismo-costruttivismo…) e la legge naturale ricompresa con categorie antropologiche più adeguate.

Alla riscoperta del valore antropologico della corporeità dovrà necessariamente corrispondere una pedagogia che sappia accoglierne e accompagnare il valore.

La teologia morale dovrà riscoprire il suo volto educativo sia nel proporre la verità morale, sia nel sostenere un serio accompagnamento al discernimento morale.

 

Giorgio Nacci è dottorando in Teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma.

 

[1] M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945; trad. it. di P.A. Rovatti, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003, 455.

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