Internet ci rende stupidi?
È il titolo intrigante di un libro di N. Carr sugli influssi delle nuove tecnologie sulle nostre capacità cognitive. L’autore, dopo un’ampia ed equilibrata analisi, giunge alla prudente conclusione che la tecnologia non ci rende meno intelligenti, ma sicuramente modifica le abitudini intellettive e influisce sul nostro modo di percepire la realtà, di ragionare e di orientarci nel mondo.
L’intelligenza si modifica
Questo era già avvenuto con il passaggio dalla lingua orale a quella scritta, con l’introduzione della stampa a caratteri mobili e la divulgazione della cartografia correlata alle grandi scoperte geografiche, esperienze che in letteratura hanno lasciato tracce di resistenze e critiche – anche illustri nei confronti della novità: Socrate per esempio aborriva la scrittura! –, che ci possono orientare a un utilizzo più prudente e oculato dei new media.
In particolare si continua a sottolineare la necessità di ritardare il contatto dei bambini più piccoli con lo schermo digitale: pur non essendoci un «tempo minimo sicuro» on-line, si dovrebbe ritardare l’esordio «almeno fino ai 3 anni, per giungere alla scuola dell’infanzia con una solida base nel mondo reale».
Così almeno consigliano gli autori di un recente studio pubblicato sull’autorevole JAMA Pediatrics (fonte ANSA), nel quale attraverso la risonanza magnetica al cervello (eseguita su 47 bimbi, maschie e femmine, di età compresa tra i 3 e i 5 anni) si è constatato come l’alta frequentazione dei dispositivi digitali produca modifiche significative nella sostanza bianca, deputata al passaggio corretto delle informazioni tra le varie zone cerebrali.
Questo causerebbe una riduzione delle funzioni espressive del linguaggio, una minore capacità nel dare nome agli oggetti e un rallentamento nell’alfabetizzazione, con conseguenti difficoltà nella scrittura.
Ma ci sono anche dei vantaggi
Se tali sono i pericoli, certamente non vanno sottaciuti i pregi che un uso dei dispositivi digitali può certamente offrire se condotto con consapevolezza, in modo interattivo e soprattutto condiviso, magari in presenza di adulti capaci di guidare ai ragazzi. Ciò può stimolare positivamente la curiosità, affinare le capacità di coordinamento e strategia (problem solving), anche attraverso l’uso moderato di giochi elettronici «intelligenti» e coinvolgenti.
Più che di «astinenza e digiuno mediatico», occorre pensare a una «dieta mediatica equilibrata», che permetta di sviluppare le intelligenze multiple (H. Gardner) di cui disponiamo, ma che spesso non curiamo tutte allo stesso modo.
È risaputo che i sistemi d’istruzione classici tendono a sovrastimare l’intelligenza linguistica e logico-matematica a scapito delle altre (spaziale, musicale, cinestetica, inter e intrapersonale, naturalistica ed esistenziale). Così un sistema educativo on-line post-moderno e monotematico corre il rischio di perseguire uno sviluppo ipertrofico di un’emergente nuova forma di intelligenza digitale basata sull’opzione click a scapito delle altre, più articolate e complesse.
A tal fine mi sembra utile richiamare noi adulti a una presenza responsabile nella rete e a una coscientizzazione del ruolo educativo e critico che come «immigrati digitali» possiamo offrire alle nuove generazioni dei «nativi digitali».
Ciò suppone che i primi a dover moderare e ad affinare l’utilizzo dei media siamo proprio noi, peraltro spesso dipendenti e compulsivi nell’uso quotidiano, scarsamente consapevole, di smartphone e social network.
Riscoprire l’equilibrio, il controllo, la giusta proporzione, magari facendo a meno della connessione virtuale per privilegiare i momenti di comunione in presenza, sono forme attualizzate della virtù della temperanza che, oltre ad auto-educarci e a renderci più liberi, può divenire testimonianza efficace nei confronti dei più giovani.
Giovanni Del Missier, presbitero dell’arcidiocesi di Udine, è docente dell’Accademia alfonsiana di Roma.