Indignazione e solidarietà: parlare di migranti
L’etica non
è fatta solo di precetti (anzi…), ma anche di sentimenti e di emozioni morali. Tra
di essi si colloca certo l’indignazione
– la reazione che proviamo di fronte a situazioni in cui è violata la dignità umana o a comportamenti indegni dell’umanità di chi li pone in
essere. Certo, da sola una reazione istintiva non basta a orientarci
moralmente, ma sicuramente ci sfida a comprendere ciò che è giusto, ciò che è
davvero umano, ciò che serve a costruire vita buona.
Parole…
Indignazione è anche una buona descrizione della mia immediata reazione di fronte alle parole del governatore della Regione Lombardia, Maroni, sui migranti: “Io domani scrivo una lettera ai prefetti lombardi diffidandoli dal portare in Lombardia nuovi clandestini…”. E ancora: “Scriverò anche ai sindaci dicendo loro di rifiutarsi di prenderli perché non devono stare qui. Ai sindaci che dovessero accoglierli ridurremo i trasferimenti regionali come disincentivo alla gestione delle risorse (…) chi lo fa violando la legge, violando le disposizioni che io ho dato, subirà questa conseguenza”. Nei giorni successivi si sono schierati al suo fianco anche i governatori di Liguria e Veneto.
Una considerazione più meditata di tali espressioni non fa che accrescere l’indignazione, orientandola a una valutazione morale. Qualificare semplicemente come clandestini coloro che vengono accolti dall’Italia nella loro ricerca di una vita possibile significa, infatti, non tenere in alcun conto motivi e dinamiche del dramma che essi si trovano a vivere (rimandiamo in tal senso agli interventi di René Micallef e Pierpaolo Simonini su Moralia).
Di più, utilizzare i poteri di governatore regionale per forzare i comuni a non collaborare con l’azione di accoglienza messa in opera dal governo nazionale significa arrogarsi competenze che vanno ben al di là di un bilanciato equilibrio tra poteri. Ancora, tali posizioni indeboliscono – proprio nel momento in cui essa sembra portare frutto – l’azione italiana tesa a ottenere condivisione da parte dell’Unione Europea nella stessa azione di accoglienza.
Abbiamo a che fare, insomma, con parole pronunciate per rompere equilibri e relazioni, per disarticolare solidarietà – quella tra Italia ed Europa, quella tra le diverse componenti del nostro paese e della nostra amministrazione, ma soprattutto quella nei confronti dei migranti.
…e pensieri
Tali considerazioni mi hanno fatto comprendere che il sentimento di indignazione che provavo mi stava davvero guidando a un vero ragionamento morale.
Nessuno nega che l’accoglienza dei migranti vada regolata e che debba avvenire secondo logiche sostenibili, ma ciò che è in gioco in essa è soprattutto un dovere umano. Chi fugge da terre divenute inabitabili –perché lacerate dalla guerra o dalla povertà o magari perché devastate dai mutamenti climatici – si presenta a noi nella sua povertà, in una condizione di indigenza radicale, che interpella chi gli sta di fronte. Rifiutarsi di ascoltare tale appello è il primo fondamentale gesto im-morale: un pensatore eticamente denso come Emmanuel Levinas ricorda quanto breve sia la distanza tra chi viola l’imperativo “Fammi vivere” e chi contraddice il “Non uccidere”.
E come valutare la posizione di chi vuole coinvolgere altri nella propria chiusura indifferente? Di chi vorrebbe chiudere le porte d’Europa come quelle di una fortezza, lasciando a morire fuori da esse chi resta all’esterno? Il teologo morale si vede rimandato alle parole di quella Scrittura che costituisce uno dei grandi racconti fondanti per la civiltà occidentale: “Non lederai il diritto dello straniero (…) ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; perciò ti comando di fare questo” (Dt 24, 17a.18).
Più volte papa Francesco ha richiamato a tale dovere di solidarietà , invitando a trovare le forme per un agire coordinato in vista della solidarietà: una sfida certo non facile, ma questo è il senso morale della politica.