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Moralia Blog

Il terremoto e la responsabilità della politica

Come ogni fenomeno fisico, il terremoto non esprime una realtà morale. Tanto meno, un elemento retributivo (e riparatore) della giustizia divina né, ancora, un momento di prova dell’eclissi di Dio dalle situazioni umane: potrebbe mai la volontà di Dio scardinarsi da quelle logiche di amore, di gratuità e di interesse che le sono proprie e di cui noi (razionalmente) abbiamo contezza?

Nondimeno il terremoto può rappresentare l’occasione per avviare una riflessione etica che si interroghi sulle responsabilità morali dell’azione dell’uomo. Cioè, su quello che l’uomo non ha fatto e che, invece, avrebbe potuto fare per prevenire i danni infrastrutturali causati dagli eventi sismici. Dinnanzi al terremoto è quindi l’uomo che si pone come soggetto morale. E’ miope, infatti, quella politica che sa di avere a che fare con un territorio ad alto rischio sismico ma che, al contempo, non prende alcun provvedimento di messa a sicurezza dei centri urbani.

Per una politica del grembiule

Si ripresenta, qui, il tema della politica quale “prima forma di carità cristiana”, per dirla con le parole di Paolo VI, nella costruzione della “città dell’uomo”. Basta sfogliare le pagine di cronaca dei nostri quotidiani: una certa politica è sempre più centro di interesse, di potere nascosto, di sperequazione, di denaro facile. Fanno eco le parole che il Rabbi di Nazaret rivolgeva ai suoi: “I governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono”; indicando, subito dopo, l’agire morale che, al contrario, deve animare il vivere in comunità: “Tra voi non così” (Mc 10,42-43).

Che non sia, insomma, il potere espressione di dominio e di oppressione, quanto di servizio e di carità. La logica altra che la morale sociale cristiana fa propria è quella che don Tonino Bello avrebbe definito “del grembiule”. Una logica che richiama altresì la responsabilità dell’uomo sulla vita di ogni altro uomo. Dinnanzi ad alcune dottrine politiche che giustifichano la nascita della società per il perseguimento degli interessi di un uomo egoista, l’etica cristiana, invece, guarda all’azione sociale quale struttura intrinsecamente solidale e pone l’homo novus custode della libertà e della vita dei suoi fratelli.

Il senso della politica

Il Catechismo di Giovanni Paolo II ha costruito la categoria di “peccato sociale” (n. 1869), che richiama direttamente il dovere di responsabilità dell’uomo. Il peccato si integra in termini non soltanto commissivi, ma pure omissivi: è peccato, cioè, anche il non intervenire laddove si sia, invece, nella possibilità di intervenire. Persino uno scrittore controverso come Pasolini scriveva: “… peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare”. Ogni occasione mancata di chi ha la responsabilità di costruire una casa comune di giustizia è un peccato che grida verso il Cielo (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1867) perché richiama il sangue di Abele, il peccato di Sodoma e Gomorra, il lamento del popolo oppresso in Egitto, il lamento del forestiero, della vedova e dell'orfano, l'ingiustizia verso il salariato… Come peccato è, altresì, la mancata denuncia, il voltarsi dall’altra parte, l’atteggiamento di quanti non sentono, non vedono e non parlano.

La questione della responsabilità morale della politica ci pone sotto gli occhi l’evidenza che il futuro della casa comune non dipende da un cambiamento radicale dei nostri modelli istituzionali a favore di nuove forme di democrazia: sarebbe, per davvero, troppo semplice! Abbiamo bisogno, invece, di un diverso senso di fare politica che metta nell’agenda di governo il bene comune, l’attenzione verso il Creato, il diritto alla speranza per le nuove generazioni. La legge positiva qui non basta più. E’ l’etica che deve riappropriarsi del suo ruolo nella società (un ruolo al quale, in fin dei conti, non ha mai abdicato).

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