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Il dolore: una sfida pratica

Il dolore, prima di divenire “oggetto” di interpretazione riflessa, è un’esperienza che appartiene al vissuto della coscienza ed è come tale un enigma per l’intelligenza e una sfida per la libertà. Una fenomenologia del dolore richiederebbe di metterne in luce le principali forme, dai vissuti psicologici alle malattie del corpo. In tutti questi casi, esso riguarda il soggetto nella sua inscindibile unità e totalità. Per questo si può parlare indifferentemente di dolore o sofferenza.

Per il suo aspetto personale, il dolore è sempre culturalmente mediato. Non è possibile comprenderlo astraendo dalle forme culturali che lo interpretano. Ogni cultura, come ogni religione e ogni filosofia, ne propone un’interpretazione pratica. Dentro queste differenze culturali, esso presenta però alcune costanti che ci permettono di delinearne l’universale profilo esperienziale.

Il dolore e la malattia

Il dolore anzitutto ha un nesso circolare con la malattia. Sarebbe impossibile parlare dell’una senza l’altro. Ora, nella malattia c’è quasi sempre una disfunzione organica, classificabile sulla base di una descrizione scientifica, che risale alle cause e prevede il decorso.

In essa però c’è in gioco anche una percezione soggettiva che coinvolge l’intera esperienza di sé. In tal senso la malattia è un’esperienza simbolica, di passività e alterità, che giunge inattesa, come un nemico che mette a repentaglio sicurezze e abitudini, riguardo al corpo, la libertà di movimento e autonomia, e ogni tipo di relazione. Da ciò l’acuto senso di isolamento, di solitudine e di spaesamento che l’accompagna.

La malattia è un evento di dolore, ma questo è più vasto e non si riduce alla malattia. Si insinua nella trama dell’esistenza, introducendo una discontinuità che comporta nuovi sentimenti, pensieri, relazioni, attività, ritmi e stili di vita. Il suo potere sconvolgente è legato alla sua qualità patetica.

Il dolore è un affetto, un pathos, che nel ricco mondo delle emozioni ha la forza di smentire il desiderio della vita buona, suscitato dalle prime esperienze del vivere. Nel suo sorprenderci, il dolore pone in questione il soggetto, costringendolo alla domanda pratica circa il senso stesso della vita.

Il soffrire è dunque un patire che più radicalmente suppone il desiderio, in quanto questo è la forma originaria di ogni patire. Proprio perché è un’esperienza patica, il dolore è anzitutto una sfida pratica, un evento che sollecita la decisione della libertà.

La questione radicale

Nel dolore tutto viene rimesso in gioco e si aprono interrogativi nuovi anche riguardo la fede in Dio. La questione radicale è quella della teodicea: se Dio è buono ed è onnipotente, perché esistono malattia, sofferenza e male?

Al di là di ogni intellettualismo, però, la storia di Gesù, compiuta nell’evento pasquale, dischiude al credente la possibilità di vivere il dolore senza cadere nell’interpretazione retributiva né nella rassegnazione fatalista né nell’ottimismo idealista, ma nella continua dialettica di resistenza e resa. 

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