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Moralia Blog

Il creato come parabola. Sulla legge naturale: una lettura sapienziale

Tra le grandi parole che attraversano la storia della riflessione etica vi è quella – sempre attuale e sempre controverso – di legge morale naturale. Un'etica teologica, però, non potrà affrontarlo adeguatamente senza passare attraverso il vaglio del testo biblico: si tratta di cogliere il possibile radicamento di questa tradizione nella Scrittura, ma anche l'eventuale forza critica che la Parola di Dio può manifestare verso una sua articolazione eventualmente inadeguata.

Natura / creazione /sapienza

Il termine di legge morale naturale come tale non è presente, nel testo biblico, ma si ritrova al più nel giudaismo ellenistico. Lo stesso vale anche per il concetto di natura, che non ha un corrispondente ebraico. Il Primo Testamento predilige, ovviamente, il lessico della creazione.

Si dovrebbe innanzitutto chiarire il significato biblico di legge se ci si vuole confrontare con il tema della natura\creazione, ma certo è soprattutto la letteratura sapienziale la miglior candidata a dar voce, in modo teologicamente corretto, alla creazione \ natura all'interno dell'etica cristiana.

La sapienza ci presenta la proposta di una lettura ermeneutica della creazione \ natura: essa ci guida nella complessa decodificazione del messaggio che il mondo naturale può darci, quando lo vediamo con lo stesso occhio del creatore. Essa non appare quindi come un freddo complesso di leggi, ma come una metafora della condizione umana, che resta profondamente creaturale, proprio grazie alla continua relazione con Dio.

La natura ci mostra il suo tratto etico (parenetico) se la sappiamo considerare con uno sguardo parabolico: essa stessa è una parabola, per ciò a cui allude, per ciò che l'intelligenza umana vi può leggere. In essa è contenuto un appello che viene da Dio, che solo uno sguardo sapienziale può cogliere. Ciò consente di fare giustizia di ogni autosufficienza della sapienza umana: essa stessa, come la creazione, è un dono di Dio, non una proprietà dell'uomo, conosce limiti invalicabili, coglie la natura in obliquo, attraverso le variabili consuetudini dell'umanità. Solo in questi termini l'uomo biblico può osare di trarre da essa un insegnamento valido per la sua vita.

Una sapienza aperta

Ma questa sapienza autocritica e limitata è però anche una sapienza aperta, disponibile a riconoscersi nel cammino morale di molti popoli, nell'appello che la coscienza morale rivolge a ogni uomo, nella discussione pubblica sul bene e sul male.

Essa è in se stessa uno strumento di dialogo, di ricerca di una via comune per l'umanità, che vuole comprendere il proprio ruolo nel mondo. In questa prospettiva aperta al dialogo interculturale, ma critica verso ogni idolatria della natura, la fede biblica può pensare anche alla legge morale naturale come luogo per un consenso etico universale (almeno nell'intenzione, se non nel fatto), come strumento per accompagnare il controverso cammino etico dell'umanità.

Essa consente di offrire una visione dell'agire umano che sia insieme disincantata e speranzosa: disincantata verso ogni forma di autosufficienza dell'essere umano (anche di quelle religiose), piena di speranza per quel surplus di senso e prospettiva che lo Spirito sa infondere in ogni uomo che si comporta secondo ciò che è scritto nel suo cuore.

«L'etica della sapienza è l'etica del tempo adatto. Un'etica che conosce un atteggiamento costante, quello del timor di Dio, ma nessun comportamento fisso, definito una volta per tutte. Il timore di Dio è uno stimolo a vivere costantemente aperti all'imprevedibile Dio: occhi, orecchi e cuore, esterno e interno. Siccome Dio è imprevedibile, il comportamento dell'uomo non sarà mai univoco. Dovrà sempre adattarsi alle circostanze o, che è lo stesso, alla rivelazione di Dio per quel momento. […] La tentazione di affermare l'ordine al punto di farne un assoluto è di tutti i tempi» (A. Nicacci).

Placido Sgroi

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