Il coraggio di comprendere: oltre il “pensiero unico”
Nei giorni scorsi il dibattito pubblico in Italia si è alimentato di un nuovo caso mediatico. La morte di Valentina Milluzzo, deceduta il 16 ottobre all'ospedale Cannizzaro di Catania dopo un parto abortivo gemellare, ha scatenato un paradossale scontro sull’obiezione di coscienza.
Nei giorni scorsi il dibattito pubblico in Italia si è alimentato di un nuovo caso mediatico. Come spesso accade, il rumore delle opinioni occupa tutto lo spazio e allontana presto dai fatti: «Quei bambini li attendevamo con gioia, Valentina si era sottoposta a un lungo percorso per averli, pensavamo di avercela ormai fatta. Rischiava un parto prematuro, ho deciso di portarla in ospedale per sentirci sicuri e assistiti e invece adesso lei non c’è più, loro non ci sono più e io non ho più niente». Pensare chiede tempo, immedesimazione, delicatezza, altrimenti si stravolge la stessa cronaca: sfumano i dettagli ed è smarrito l’orizzonte.
La morte di Valentina Milluzzo ha scatenato un paradossale scontro sull’obiezione di coscienza. Punto d’innesco le affermazioni di un uomo distrutto: «Mia moglie urlava dal dolore da quasi dodici ore. Quando ho chiesto al medico di aiutarla mi ha risposto: "Sono un obiettore di coscienza. Non posso intervenire finché c’è un battito di vita"». Parole gravi e bisognose di verifica: doveroso l’intervento della Magistratura. L’obiezione, infatti, è contemplata dalla Legge 194 in rapporto all’interruzione volontaria di gravidanza, circostanza agli antipodi col dramma di Catania.
L’egemonia del “pensiero unico”
Esistono temi, però, bombardati da quello che papa Francesco denuncia come “pensiero unico”. L’idea non è, semplicemente, che sia invalso il diritto di affermare qualsiasi cosa, ma che esistano veri e propri dogmi secolari. Essi incontrano nella realtà degli ostacoli. Basta, dunque, un periferico fatto di cronaca e si scatena una campagna di prepotente delegittimazione del dato in sé: ad esempio, nel nostro Paese, del dato sul numero di medici obiettori, su quanti si avvalgono dell'ora di religione, sulle preferenze espresse per la Chiesa cattolica nella destinazione dell’otto per mille.
Fatti da interpretare, ma indigesti: essi devono apparire sinistri e pericolosi per la qualità civile, cioè laica, della convivenza. Si noti, nel caso di Catania, come nessuno abbia dato peso a una premessa non secondaria della vicenda: nel reparto di ginecologia Valentina era entrata 17 giorni prima per una minaccia di aborto per complicazioni alla diciannovesima settimana di gravidanza, una gravidanza fortemente desiderata quasi "a tutti i costi" e arrivata finalmente dopo il lungo percorso della procreazione assistita.
Mediaticamente, non c’è ombra che abbia avvolto questo "a tutti i costi": un’intera cultura richiede di parlare solo positivamente di fecondazione artificiale. Trattamento differenziato che squaderna le notizie e getta i loro protagonisti nel tritacarne dello scontro ideologico. Reagire, oggi, è raccontare l’obiezione di coscienza come guadagno fondamentale.
Il coraggio di comprendere e andare oltre
Accadrà sempre più, in una società in cui mondovisioni diverse devono coesistere pacificamente, che le leggi dello Stato prevedano comportamenti ripugnanti per la coscienza personale. Appare il problema di assicurare quanto l’ordinamento garantisce: esso si pone, tuttavia, solo di fronte a una resistenza di massa all’applicazione della legge.
La domanda che ci si aspetterebbe, in democrazia, è semplice: perché un’obiezione tanto estesa e popolare? Dice qualcosa della materia su cui si è legiferato? Oggi mancano le condizioni culturali per un’analisi coraggiosa dello scarto tra principi sostenuti e realtà toccata in prima persona, specialmente su un tema come l’aborto, saldamente collocato tra i diritti: spiazza la resistenza dei medici a contribuire con la propria opera a ciò che le parole dichiarano giusto. Invece, capire sarebbe prezioso.