Il cervello, i suoi miti, e il problema della libertà
Mai come in questa ultima decade
il cervello è stato al centro di numerose e
profonde investigazioni scientifiche.
Quasi non passa giorno senza che qualche
giornale pubblichi la notizia di nuove scansioni che finalmente permetterebbero agli scienziati di vedere quale zona del
cervello è responsabile della felicità o dell’amore, della rabbia, della libertà, del
senso del dovere e di quasi tutte le altre emozioni umane. Gli stessi
fondamenti della morale, libertà e
responsabilità, sono messi in discussione da alcuni studi: per qualcuno
quella che abbiamo sempre chiamato volontà libera non
sarebbe che il frutto di casuali condizioni biochimiche del nostro cervello.
Dobbiamo riconoscere che le nostre conoscenze neuroscientifiche sono cresciute enormemente, permettendoci di acquisire sempre maggiori informazioni sul nostro essere spirito incarnato. Le nostre facoltà mentali non sono cioè pure e astratte, ma basate e influenzate anche dal funzionamento del nostro sistema nervoso centrale (si pensi ad esempio al grande sviluppo dei neurofarmaci per la cura dei disturbi mentali).
Tuttavia va pure sottolineato che questa crescente quantità di informazioni porta con sé anche una quantità di slogan pubblicitari e di disinformazione su come realmente funzioni il nostro cervello, sul suo rapporto con quella che chiamiamo "mente" e sulla morale. Anche se alcuni di questi slogan sul cervello sono del tutto infondati scientificamente, si sono trasformati in miti, che vengono accolti acriticamente nelle altre discipline (anche da alcuni eticisti) o che addirittura influenzano le politiche pubbliche di ricerca e di finanziamento di progetti di ricerca.
Con l’aiuto di Christian Jarret, che ha recentemente pubblicato un testo con una collezione dei grandi miti sul cervello (Great Myths of the Brain, Blackwell 2014), vorremmo elencare alcuni dei più diffusi. Appartengono alle idee prive di fondamento: la convinzione che usiamo solo il 10% del nostro cervello; che il cervello delle donne sia più bilanciato di quello degli uomini (o altri miti di genere); che il cervello sia una sorta di computer; che possa esistere la mente fuori dal cervello; che più grande è il cervello più si è intelligenti; che il cervello possa esistere e sopravvivere – funzionando – fuori dal corpo; che quello che ci fa umani siano i cosiddetti neuroni-specchio; che il cervello riceva informazioni da cinque sensi tra loro distinti; che possiamo oggi spiegare tutta la mente con il cervello e così via…
Le zone di conoscenza incerta e congetturale sul funzionamento del cervello sono dunque oggi molto grandi; molte conoscenze che reputiamo certe sono del tutto provvisorie. E tuttavia dobbiamo sottolineare il carattere altamente sfidante delle neuroscienze per l’etica. L’uomo, spirito e corpo, sa che l’appello morale è qualcosa di insopprimibile nel suo cuore (e diremmo oggi anche nel suo cervello…) tuttavia il nostro essere carne (nel senso biblico di fragilità) deve fare i conti anche con il nostro sistema nervoso centrale. Una riflessione morale che voglia saper cogliere pienamente la costituzione umana continuando a indicare come moralmente vincolante il bene possibile alla persona dovrà necessariamente confrontarsi con le neuroscienze e saper evitare le trappole intellettuali dei miti cerebrali.
Il termine mente è comunemente utilizzato per descrivere l'insieme delle funzioni superiori della persona e, in particolare, quelle di cui si può avere soggettivamente coscienza in diverso grado: la sensazione, il pensiero, l'intuizione, la ragione, la memoria, la volontà. Sebbene molte specie animali condividano con l'uomo alcune di queste facoltà, il termine è di solito impiegato a proposito degli esseri umani. Molte di queste facoltà sono oggi collegabili a livello neurofisiologico nell'attività della corteccia cerebrale. Nel loro complesso danno forma all'intelligenza. La grande questione aperta oggi dalle neuroscienze è il legame che c'è tra la mente e il cervello.