Il cervello e la sua etica: la neuroetica
Con questo post e il precedente, che hanno a tema il cervello riprendiamo la serie che propone uno scambio a due voci e due generi sui temi di bioetica più attuali, per alimentare un confronto e un dialogo aperti sul web. Per i precedenti interventi vedi Francesca Marin e Simone Morandini sulla bioetica globale.
Le neuroscienze sono quell’insieme interdisciplinare di studi (comprendenti biologia, matematica, fisica, chimica, statistica…) che si occupa dell’anatomia, della fisiologia, della biochimica, delle patologie del sistema nervoso centrale e periferico, dei suoi effetti sul comportamento e delle esperienze mentali.
Durante la conferenza «Neuroetica: una mappa del territorio», tenutasi a San Francisco nel maggio del 2002, fu utilizzato per la prima volta il termine neuroetica per indicare il rapporto tra le neuroscienze e l’etica. La neuroetica si presenta pertanto come una disciplina complessa e interdisciplinare: i suoi confini sono in continua trasformazione, sia per la costante acquisizione di dati neurobiologici, sia perché le etiche individuali e collettive, nei diversi contesti sociali, sono anch’esse in continuo sviluppo.
Possiamo senz’altro affermare che il rapporto tra le neuroscienze e l’etica è reciproco. Non solo da una parte le neuroscienze offrono dati neurobiologici per comprendere determinati meccanismi circa alcuni comportamenti, o circa la nostra capacità di esprimere giudizi morali, ma anche, viceversa, ci si interroga sulle implicazioni morali delle neuroscienze. Comunemente si parla di «neuroscienza dell’etica» nel primo caso e di «etica delle neuroscienze» nel secondo caso.
Neuroscienza dell’etica
Questo settore d’indagine si occupa di questioni relative alla natura della nostra libertà individuale e alla sua relazione con i nostri meccanismi neurofisiologici. I principali ambiti euristici riesaminano questioni «classiche» – quali i processi cognitivi ed emozionali, il libero arbitrio, la coscienza, l’identità personale… – secondo una prospettiva neurobiologica.
Un esempio: come potremmo ripensare la «responsabilità» qualora le tecniche di neuroimagining dimostrassero un rapporto di causalità diretta tra funzionamento cerebrale e reazioni comportamentali? È evidente come tali studi abbiano (o possano avere) ripercussioni notevoli e dirette su diverse branche del sapere, come ad esempio il diritto.
Etica delle neuroscienze
L’etica delle neuroscienze si occupa d’altro canto di questioni relative all’impiego delle conoscenze neuroscientifiche. Quali questioni morali emergono dalle neuroscienze e quali il loro impatto sul vissuto personale e sociale, anche in termini di equità nel contesto socio-culturale, a breve – medio – lungo termine?
Teologia morale e neuroetica: quale relazione?
Sulla relazione tra i due ambiti molte domande restano ancora senza risposta. La teologia in genere, e in particolare la teologia morale, è chiamata ad ascoltare e discernere tra le acquisizioni neuroscientifiche e le teorie neuroetiche. Paolo Benanti, in conclusione alla sua relazione «Come le neuroscienze sfidano l’etica», tenutasi il 28 luglio 2014 durante l’annuale settimana di studi promossi dal Segretariato attività ecumeniche (SAE), così afferma:
Interrogarsi sul rapporto tra le diverse discipline (umane, filosofiche, neuroscientifiche) e la teologia morale, in quanto disciplina teologica che riflette sul fenomeno della moralità esercitando la ratio illuminata dalla fede, rappresenta una domanda sui fondamenti della teologia morale e su come essa possa aver cura della propria specificità epistemologica e contenutistica. La riflessione da fare deve ricordare che la dipendenza di una disciplina dall’altra non è a senso unico. Chiaramente il discorso è sulla relazione tra le discipline, poiché sul piano ontologico il cristiano sa qual è l’unica via di dipendenza: Dio, Gesù Cristo, l’uomo. La neuroetica inserita in un contesto di riflessione teologico-morale deve sempre aver presente che la dipendenza è reciproca: nell’esercizio della riflessione teologica, nei vari ambiti connessi, occorre che, a partire dalla disciplina in cui si sta esercitando la riflessione teologica, si vada a verificare nelle altre discipline la correttezza e la coerenza di ciò che si sta dicendo: s’instaura un circolo ermeneutico che indica una dipendenza reciproca e continua. Autonomia delle discipline non equivale ad autarchia. Ogni disciplina ha una sua base specifica di esperienza, di approccio e di funzionalità: i risultati di ogni disciplina saranno verificati o falsificati in base a quelle specifiche esperienze che sono il campo di ricerca della disciplina stessa. In forza dell’autonomia delle varie discipline nessuna conclusione neuroetica è direttamente trasponibile in conclusione morale. Il problema diviene l’interrelazione: il moralista riflette su dati dell’esperienza umana in quanto libera, consapevole e responsabile, ma sono dati offerti e interpretati da altre discipline, tra cui la neuroetica, e di queste discipline la teologia morale ha bisogno.