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Moralia Blog

Frontiere e confini: non ne abbiamo bisogno

La storia dell’umanità è la storia di limiti superati e, al contempo, di limiti imposti. Non trascorre giorno in cui l’uomo non tenti di andare oltre i propri orizzonti di possibilità.

Per fare un esempio, l’uomo non si accontenta (per fortuna!) di essere arrivato sulla Luna, il passo più prossimo è adesso verso Marte, e sarà anche questo l’inizio di mete sempre più ambiziose.

E i limiti che l’uomo continuamente travalica non sono solo geografici, ma anche biologici, politici, sociali e persino spirituali … Tant’è che gli studiosi oggi parlano di «religioni senza frontiere», che si contraddistinguono per essere valvola d’integrazione e inclusione in un tessuto sociale culturalmente disomogeneo.

Il paradosso della nostra epoca

Appare quasi paradossale che proprio in un’epoca come la nostra, in cui la tecnologia rende tutti più connessi, più vicini, permettendo di superare le naturali barriere fisiche, si assista al sorgere e al maturare di pretese indipendentiste (e nazionaliste). D’altronde è dalla notte dei tempi che l’uomo lotta per rivendicare un territorio. Lo storico Yuval Noah Harari sostiene che l’homo sapiens si è evoluto pensando al «noi» (il gruppo) e al «loro» (tutti gli altri), con l’attenzione rivolta, quindi, all’intera specie di appartenenza.

Si tratta di una prerogativa tipica dell’uomo: al leone, ad esempio, non interessa curarsi di tutti i leoni del mondo, e ciò vale per gli scimpanzé, per gli elefanti, per le api e così via. Questa naturale tendenza dell’uomo se, da un lato, permette di cooperare e fraternizzare con i lontani, dall’altro lato porta a dividere il mondo in «vicini» ed «estranei».

Intorno al 3000 a.C. il leggendario primo faraone Menes unifica Alto e Basso Egitto e inevitabilmente pone un confine, al di là del quale vi sono gli stranieri. Anche quando nel 212 d.C. Caracalla concede la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero i confini rimangono, comunque, ben determinati e fuori da essi ci sono sempre gli externi (i forestieri), i barbari (i non civilizzati) o gli hostes (i nemici).

Un’irrimediabile finzione

I confini sembrano essere espressione delle coordinate spaziali in cui la vita umana si svolge, ma sono un’irrimediabile finzione. Certo, una finzione che assume importanti significati politici e giuridici. Lo stato moderno si costruisce e si giustifica sulla base di una sovranità che insiste e di una popolazione che si stanzia in un territorio. In quel territorio, inoltre, opera un determinato sistema giuridico. Non è un caso che Francesco Carnelutti definisca il diritto come la «stabilità della frontiera».

Ma la territorialità non è sempre stata una prerogativa degli ordinamenti normativi. Aristotele non scrive la costituzione di Atene, bensì degli ateniesi. E ancora oggi i sistemi religiosi sono caratterizzati da diritti che hanno base personale, come il diritto canonico o – con una locuzione semplificativa – il diritto islamico. Eppure anche questi ordini religiosi, che contengono pretese universalistiche, segnano frontiere ben precise, tra chi crede e chi non crede, tra chi è fedele e chi è apostata.

Dopo lo straniero, l’alieno

I confini hanno anche una valenza etica. Nel porre una linea di demarcazione tra un territorio e un altro distinguono il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il migliore dal peggiore. La domanda sorge spontanea: abbiamo davvero bisogno dei confini? Può l’uomo oggi superare il limite di avere dei limiti?

Se anche ipotizzassimo uno stato i cui confini sono il mondo intero, avremmo sempre la possibilità di ritrovare lo straniero in un alieno proveniente da un altro «mondo». E quell’alieno lo potremmo considerare diverso, non nella pienezza della titolarità giuridica, con un valore morale minore del nostro.

Pure la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, che doveva essere «mondiale», è diventata in sede di approvazione finale «universale», proprio per non imbrigliare le posizioni giuridiche fondamentali in essa riconosciute, strettamente inerenti alla dignità della persona umana, negli «angusti» confini coincidenti con il globo terrestre.

L’unico limite è la dignità della persona

Insomma, dei confini e delle frontiere non abbiamo bisogno. L’economia e la tecnologia lo hanno capito; il diritto, la politica e la morale un po’ meno. Le proposte di processi costituenti per ordini sovranazionali, come l’Unione Europea, per un ordine internazionale, non possono che ritrovare l’unica frontiera possibile nell’universalità della dignità umana.

In questo senso don Lorenzo Milani reclamava il «diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro». Perché, come scriveva Montaigne, «ogni uomo porta in sé la forma intera dell’umana condizione». È la persona umana il solo limite che un’altra persona umana non può violare.

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