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Moralia Blog

Francesco: cingersi per partire, cingersi per servire

Per chi partecipa in questi giorni al Convegno ecclesiale di Firenze, lo sguardo e il cuore si riempiono d’immagini, figure, sensazioni intense; della bellezza di una città che ha incarnato una grande figura di umanesimo eticamente ispirato. Si riempiono soprattutto della presenza potente di papa Francesco e del grande messaggio che egli ha indirizzato alla Chiesa italiana dalla Cattedrale di S. Maria del Fiore.

Su di esso dovremo ritornare, tanto vaste sono le prospettive che vi si dispiegano per la Chiesa italiana (così come per la riflessione morale).

Nel segno di Francesco

Solo qualche nota, nel frattempo, su un intervento solo apparentemente minore, ma pure denso di stimoli per l’etica teologica. Ci riferiamo a quello pronunciato nella breve visita a Prato, città vivace, ma anche segnata da contraddizioni, e non a caso il testo di Prato contiene riferimenti al mondo del lavoro e al contrasto alla corruzione, ormai abituali per chi ascolta papa Francesco.

Vorremmo soffermarci invece sugli spunti che egli trae dalla meditazione della Sacra Cintola della Madonna, preziosa reliquia della città. Il profondo legame a Maria che caratterizza la spiritualità di Francesco non si traduce qui in una meditazione puramente devozionale, ma piuttosto in uno sguardo sapienziale, che sa cogliere nelle realtà offerte della tradizione credente quegli spunti che aiutano a viverla come ricca di senso anche nel nostro tempo.

È così l’occasione per un preannuncio di tanti temi che a Firenze potranno essere detti con forza e ampiezza maggiore.

Il dinamismo del volgersi all’altro

La Cintola evoca un verbo, una dinamica: l’immagine del “cingersi le vesti ai fianchi”, che nella prospettiva di Francesco rimanda in primo luogo all’”essere pronti, prepararsi a partire, mettersi in cammino”.

È la figura di un dinamismo esodale, che non resta chiuso in se stesso, che si sa chiamato a partire, a incontrare l’alterità. È la figura di una Chiesa coraggiosa, che sa riprendere sempre e di nuovo quanto le offre la propria tradizione, per camminare senza timore sulle strade della storia e del tempo, nelle sue periferie.

È la figura di un soggetto capace di rischiare, di “prendere il largo”: quasi un assaggio dell’invito – che pronuncerà poco dopo a Firenze – a prendere ispirazione dai grandi esploratori della storia italiana, che hanno affrontato oceani e tempeste senza timore. Partire con coraggio, nel segno della cura e dell’ospitalità: una grande responsabilità quella affidataci. La consegna è infatti quella “di camminare per i sentieri accidentati di oggi, accompagnare chi ha smarrito la via; di piantare tende di speranza, dove accogliere chi è ferito e non attende più nulla dalla vita”.

Lo stile di tale pratica rimanda, del resto, a un’altra figura, essa pure collegata all’immagine del “cingersi”: è la lavanda dei piedi, memoria preziosa di un Dio che si fa servo invitando altri alla sua sequela (nella logica del “come egli... così noi”, così centrale nella Misericordiae vultus). “Siamo stati serviti da Dio che si è fatto nostro prossimo per servire a nostra volta chi ci sta vicino”: un’affermazione teologicamente densa e ricca valenze etiche e antropologiche.

È chiaro, infatti, che – letta in tale prospettiva – la topologia della vicinanza e della distanza non potrebbe essere usata per fare distinzioni nel campo dell’accoglienza: “non esistono lontani che siano troppo distanti, ma soltanto prossimi da raggiungere”. Farsi prossimo, rivolgersi a…, guardare a…:  ciò che fa la differenza nelle relazioni sono gli atteggiamenti, sono i verbi – i processi che si attivano – piuttosto che la registrazione di condizioni di partenza, più o meno favorevoli.

È, dunque, la sottolineatura della rilevanza etica di una dinamica di inclusione e di ospitalità, di azione pro-sociale, di costruzione di convivenza tra le differenze che non bisogna mai stancarsi di costruire.

Non certo parole scontate, tantomeno in una realtà come quella di Prato, la città più “cinese” d’Italia, che più volte si è trovata sotto i riflettori mediatici per problemi e difficoltà legate a tale problematica. Non certo parole scontate, in un’Italia in cui risuona il richiamo alla costruzione di identità forti, da contrapporre ad altri percepiti come avversari o magari nemici.  

Un’etica sapienziale

Una vera meditazione sapienziale, insomma, che sa interpellare magistralmente l’interlocutore negli elementi che fanno parte della sua tradizione per condurlo – nella mediazione del riferimento teologico – a scoprirne l’inscindibile correlazione con l’oggi, col tempo, con le pratiche cui è chiamato. A scoprirsi interpellato e invitato a un discernimento per il suo presente, per la sua storia, per il suo camminare.

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