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Moralia Blog

Francesco, 27 marzo: la misericordia che sovrascrive i codici

I gesti e le parole di Francesco che visitano solitudini, in una sera di marzo triste – per la pioggia, ma soprattutto per tante vite minacciate o perdute –.

«Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante». La grande piazza vuota, l’evidente fatica nel camminare e nei gesti, il volto affaticato e sofferente: tutto comunica la profonda partecipazione di Francesco al dramma dell’umanità, la condivisione dello smarrimento che ci investe per la grande pandemia.

Anche le sue parole partecipano dell’angoscia che tutti e tutte avvertiamo dentro; sono però anche parole di speranza, che indicano la forza dell’agire di tanti e tante che senza riserve sostengono la vita di tutti. «Persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo» ... madri e padri, nonni e nonne, e insegnanti, che si prendono cura di chi è loro affidato.

Appello alla solidarietà

Nessuno si salva da solo! Oltre la vulnerabilità, che tutti drammaticamente sperimentiamo, ci sostiene la forza della solidarietà, radicata in quella «appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Perdere tale radice invece è «dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli», e purtroppo anche questo ha detto la storia di questo tempo: «Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato».

Per questo adesso viviamo un tempo che sfida e interroga: «Il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri (...) Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai».

Le poche parole che riportiamo non possono certo rendere la forza di un evento fatto anche di gesti e immagini potenti, che molti – anche ben lontani da legami ecclesiali – hanno percepito come vivificanti.

I riti e le prassi "ricentrate" dagli eventi

Così cambiano senso anche i riti di una tradizione confessionale problematica, attorno alla quale si sono consumate lacerazioni nella storia ecclesiale e che ormai molti faticano anche solo a comprendere. È come se i loro codici venissero radicalmente riscritti, dal contesto, dalla forma dell’evento e dalle parole che li accompagnano. È una ricentratura: al di là delle forme e delle prassi, al centro stia soprattutto l’annuncio della gratuita prossimità e della misericordia del Dio della vita, per ogni uomo e per ogni donna, proprio anche quando tutto sembra oscuro.

Una misericordia che sostiene la speranza e dona forza di resistenza; una misericordia che consola le lacrime e sostiene le mani e le menti di chi opera per la cura d’altri. Una misericordia che chiede di essere condivisa, prendendo corpo nell’agire quotidiano di ognuno e ognuna. Una misericordia che invita anche a pensare, a dopo la crisi, a un futuro diverso, più ricco di giustizia e attenzione per i diritti di tutti, a partire dai più fragili; più attento alla custodia delle reti della solidarietà e alle forme in cui abitiamo la casa comune del pianeta.

Se di Giovanni XXIII restano nella memoria di tanti e di tante le parole del discorso alla luna dell’11 ottobre 1962, con l’invito a portare una carezza del papa ai bambini, forse di Francesco ci resterà in mente il volto del 27 marzo, così appesantito da faticare a camminare, eppure così forte nell’indicare speranza resistente in un drammatico crocevia senza precedenti per questa generazione.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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