Fedeltà al futuro. Il Sinodo per l’Amazzonia
Fedeltà: una parola quasi classica per la riflessione morale, da sempre attenta alla custodia di quanto ricevuto, alla tutela delle forme di comunione esistenti (si pensi a quella familiare), al riferimento all’eredità culturale e normativa delle generazioni precedenti.
Non a caso uno dei termini biblici cui associamo il termine «conversione» dice del ritornare a quanto si è abbandonato. Si tratta di valenze di grande rilievo, ma mi sembra che il Sinodo sull’Amazzonia – di cui, mentre scriviamo, è disponibile il documento finale solo nella versione originale spagnola – ci mostri anche un altro volto della fedeltà, non meno forte né meno rilevante, ma certo diverso: una fedeltà al futuro.
Il futuro della terra
Un futuro che nel documento finale è in primo luogo quello della terra amazzonica, così splendida eppure così drammaticamente violentata da un’«estrattivismo predatorio» (n. 68) che devasta una realtà vitale.
La denuncia del vero e proprio peccato ecologico che si commette nei suoi confronti (n. 82) s’intreccia con la proposta di percorsi di sviluppo diversi, circolari, sostenibili, solidali (nn. 71-73), da costruire valorizzando i saperi scientifici, ma anche le sapienze tradizionali delle culture indigene. La ricchezza culturale della regione amazzonica s’intreccia infatti con la biodiversità che la abita, e la difesa della seconda esige anche una valorizzazione della prima.
Determinante, in tal senso, l’atteggiamento attento e rispettoso del Sinodo nei confronti delle culture indigene e di quelle «africanodiscendenti» (un’espressione decisamente non usuale per la nostra lingua); anche verso i loro universi religiosi l’atteggiamento è quello del dialogo, per una cura condivisa della casa comune (nn. 24-25).
Nulla a che vedere con l’arroganza di chi – proprio nei giorni del Sinodo – ha tentato di distruggere la statuetta tradizionale simbolo di fecondità, cogliendo in essa un idolo da combattere (uno sguardo che nulla comprende del rapporto di tante popolazioni indigene con la Terra).
Il futuro della Chiesa
Ma rivolto al futuro è anche lo sguardo rivolto alla Chiesa amazzonica, lucido nel percepirne la vitalità e al contempo la fragilità. Per questo l’invito è a una presenza missionaria, che si declini nei contesti urbani così come nelle aree più isolate. Per questo, in particolare, il Sinodo ha guardato con affetto e preoccupazione a quelle piccole comunità che spesso sono l’unica forma di presenza ecclesiale in regioni remote.
In tale sguardo si radica l’affermazione della centralità del loro diritto a vivere una vita cristiana comunitaria piena, che sia tra l’altro sostenuta e illuminata dall’eucaristia: il «diritto più fondamentale di accesso all’eucaristia per tutti» (n. 109). È da questo principio – tradizionale eppure estremamente ricco di potenzialità – che si dispiegano le diverse proposte in tal senso.
Penso da un lato alla proposta di allargare anche alle donne la possibilità di accesso ai ministeri del lettorato e dell’accolitato, ma soprattutto d’istituire il ministero di «donna dirigente di comunità» (n. 102), riconoscendo formalmente realtà d’impegno e di dono spesso già ampiamente presenti.
Penso all’invito a riprendere la riflessione sulla possibilità del diaconato alle donne, andando al di là dei risultati interlocutori della commissione dedicata a tale tema (n.103).
Penso ancora alla proposta di ordinare al presbiterato diaconi permanenti con famiglia per il servizio delle comunità in cui sono riconosciuti (n. 111).
Proposte che faranno discutere, che saranno oggetto di critica in quanto espressione di rottura col passato e al contempo da parte di altri saranno giudicate troppo timide.
A chi scrive sembra piuttosto di leggere qui lo sguardo saggio di una comunità che sa commisurare le esigenze del presente con l’urgenza del futuro; che sa tenere in conto il grande valore delle forme ricevute dalla Tradizione (come lo stesso celibato sacerdotale), ma che è pure conscia che esse sono a servizio dello scopo primario che è il sostegno e la crescita alla vita cristiana delle comunità credenti.
Una comunità quindi che sa avviare processi di cambiamento, anche se essi mettono in discussione tradizionali delimitazioni di spazi.
Uno stile
Il Sinodo indica insomma un modo di essere Chiesa – uno stile – che sa coniugare l’attenzione alla realtà storica e naturale in cui essa abita con quella per il vissuto credente dei suoi membri; che sa stare nel tempo con uno sguardo rivolto in avanti, nella speranza.
Forse anche la realtà europea trarrebbe vantaggio se fosse in grado di attingere a simili dinamismi, coniugando la grande ricchezza delle proprie tradizioni culturali e religiose con una pari passione per il futuro.
Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.