Etica teologica: il teorico che sposa il pratico
L’etica teologica non può fornire solo una conoscenza generica della capacità dell’uomo di comportarsi in maniera morale, ma deve anche spiegare come egli possa trovare, in mezzo alle contraddittorie esperienze odierne, idee morali concrete in fatto di valori.
Una forma ai contenuti, un contenuto alle forme
Traggo questo passaggio dal c. V del primo volume dedicato ai Fondamenti dell’opera di teologia morale del redentorista Josef Römelt, dal titolo Etica cristiana nella società moderna. Il secondo volume, dedicato agli Ambiti di vita, si occupa di mostrare la validità della riflessione del primo volume su vari settori concreti della vita, gli ambiti di vita appunto! Tuttavia, entrambi i volumi già sono in nuce proprio nel pensiero suddetto, secondo il quale – mi pare di capire – non ci sarebbe testo di teologia morale fondamentale che possa pretendere oggi attenzione e interesse se non si sviluppasse lungo il filo di un vero e proprio «andirivieni» tra il «teorico» e il «pratico».
Anzi, direi di più: se non esibisse la convinzione centralissima che la teologia morale fondamentale sarebbe vuota senza la teologia morale speciale e la teologia morale speciale sarebbe cieca senza la teologia morale fondamentale.
«Come» insegnare «che cosa»
La convinzione che mi spinge a offrire questa interpretazione nasce da un’esperienza didattica di teologia morale che mi ha reso sempre più consapevole, in un confronto continuo e audace (a volte rischioso) con i miei studenti (che hanno parecchio da insegnarmi in quanto soggetti morali competenti), che una ricerca del bene responsabile e avulsa da risposte perentorie deve tener conto che nessuna soluzione normativa sarebbe possibile senza un’esperienza di condivisione valoriale, anche sofferta e sempre perfettibile, in situazioni complesse.[1]
Ed è per questa complessità che la teologia morale fondamentale non può mancare (ecco perché non è vuota) di un armamentario concettuale, la cui finalità è illuminare i vari contesti operativi che affronta la teologia morale speciale (ecco perché non è cieca).
«Che cosa» insegnare per «come» cavarsela
Qui l’occasione per verificare, a mo’ di esemplificazione, quanto sostengo, ci viene offerta su un piatto d’argento dal punto di vista didattico da un’affermazione presente nell’ultimo documento della Congregazione per la dottrina della fede, Samaritanus bonus, lettera sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita.
L’argomento è l’eutanasia e – si sa – se volessimo incasellarlo lo collocheremmo certamente nella teologia morale speciale. E l’affermazione è la seguente: «L’eutanasia, pertanto, è un atto intrinsecamente malvagio» (V, 1). Chi insegna teologia morale fondamentale, dunque, potrebbe non prenderla in considerazione durante le sue lezioni.
Potrebbe. E se lo facesse? Quale spunto potrebbe offrirgli per praticare la teologia morale fondamentale, pur dalla prospettiva di un settore concreto della vita? Rispondo con delle contro-domande: come spiegare il capitolo dell’atto morale senza un contesto operativo specifico? E come illuminare un qualsiasi contesto specifico senza alcuni fondamentali dispositivi logici per approfondire al meglio e con serietà l’oggetto morale dell’azione compiuta o da compiere?
Se «intrinsecamente malvagio» è un’espressione che intende un modo per escludere le «circostanze», chi e che cosa definisce cosa sono le circostanze? Sono le circostanze che in quanto tali sono moralmente irrilevanti (quindi esulano dall’oggetto morale dell’azione che si sta valutando), oppure ci sarebbero circostanze moralmente rilevanti pur rimanendo circostanze? Se è vero – san Tommaso docet – che le circostanze non fanno la moralità dell’oggetto, è vero che tutte le circostanze sono sullo stesso piano?
Per un esito auspicabile
La discussione ha già preso il largo: l’argomento non sarebbe più di natura bioetica, ma verterebbe sulla dottrina delle fonti della moralità. Ma non solo: al contempo, finalmente, questo capitolo della teologia morale fondamentale potrebbe guadagnarci in termini di concretezza. Forse che dobbiamo mettere mano al riordino degli insegnamenti di teologia morale?
Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, l’Istituto di studi bioetici S. Privitera e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).
[1] Mi permetto di rimandare per un maggiore approfondimento al mio «“Bonum esse”. La teologia morale tra “casi” e “metodo” e l’istanza antiteorica. Passaggi didattici in teologia morale», in Studia patavina 61(2014), 765-786.