Etica teologica: il gusto della vita
Nel corso del XX secolo la filosofia del linguaggio e la conseguente etica analitica hanno avuto l’importante funzione di purificare molti enunciati e argomentazioni dell’etica dalla pretesa di essere rigorosamente razionali: di questo, all’interno della teologia morale, siamo tutti debitori di B. Schüller.[1]
Con questa esternazione il teologo morale fiorentino Enrico Chiavacci riconosceva, con la parresia che lo ha sempre contraddistinto nei suoi scritti e nei suoi interventi pubblici, un debito di riconoscenza per una figura che ha introdotto in seno alla veneranda riflessione teologico-morale un metodo, le cui peculiarità e potenzialità interpretative del fenomeno morale sono indubbie, al di là dei vari esiti che si sono susseguiti nel tempo.
Stiamo parlando di quell’universo di categorie, distinzioni e stili, profusi dall’interesse di una batteria di pensatori, per la maggior parte anglofoni, i quali, prima nauseati dal «lezzo» della metafisica, poi calamitati al centro del pianeta linguaggio, infine scopritori di «cose» e non solo di parole, continuano a costituire un vero e proprio paradigma: l’approccio metodologico analitico.
Un nome, una garanzia (per chi vuole crescere in teologia morale)
E Bruno Schüller lo è stato un analitico – espressione questa che fa arretrare per l’enigmaticità che sembra veicolare – per il modo rigoroso, severo, quasi asettico, di impostare e attuare la riflessione sul fenomeno morale.
A carattere filosofico o a dimensione teologica, la sua è stata una riflessione prima di tutto logica: se vuoi trovare una risposta, stai attento alla formulazione esatta della domanda; non preoccuparti dei risultati, ma fai attenzione a non saltare nessuna tappa della riflessione; il «così fan tutti» ti perseguiterà, ma non dimenticare che è sempre possibile vagliare criticamente i ragionamenti su cui si fonda; subirai sempre gli ammaliamenti delle parole, ma il controllo delle stesse è da preferire.
Così suggerendo il Nostro Teologo non solo ha mostrato come, al di là della differente terminologia usata dalla filosofia e dalla teologia sul morale, molto spesso persista una medesima problematica e a volte pure esista la medesima soluzione, ma ha anche suggerito che i termini più inflazionati nel discorso etico sono anche quelli che galvanizzandoci ci ingannano, non risolvendo problemi ma sollevandone altri.
Ma, ancora: di fronte a una montagna di linguaggi i più diversi occorre scarificare, stratificare, asfaltare per costruire gallerie a più corsie le cui segnaletiche devono essere chiare ai viaggiatori: descrivere, prego, da questa parte; argomentare, prego, dall’altra parte; esortare? di qui; fondare? da quest’altra parte.
Morale chiama pianeta Terra (ma non solo)
Questo modo percepito come rigoroso, severo, quasi asettico di cui dicevamo, non scaturisce per la verità da una particolare complessità dei concetti, bensì incredibilmente dalla volontà di assumere l’ovvietà (il senso comune) come qualcosa non nell’accezione di scontato ma nell’accezione di fondamentale. Ciò che è ovvio è il fondamentale, ovvero i fondamenti da cui partire per poter riflettere distesamente su quella cosa che chiamiamo etica.
Molto probabilmente il punto di partenza dei padri fondatori dell’analitica inglese, orfani volontari o involontari di un Dio legislatore, potrebbe essere apparso a molti miserevole, perché sembra poca cosa pensare alla morale solo come una soluzione alla necessità di vivere in gruppo (penso a Hobbes e a Locke).
Tuttavia proprio questo punto di partenza è inaggirabile: la vita stessa dell’uomo sarebbe impossibile senza l’assunzione di norme comuni. Ed è qui che l’ovvio nella sua semplicità diventa oggetto di un’indagine che più va avanti e più si trasforma in una scoperta, a volte casuale, come succede nella ricerca scientifica: partiti da una tesi e indagate le varie ipotesi per perorare la tesi, la stessa esperienza del mondo e di starci ci indica di cambiare strada perché i conti non tornano, e bisogna cominciare a considerare altre variabili e altre ipotesi e forse bisogna cambiare la tesi iniziale.
E inizia così il viaggio di un’indagine analitica che, una volta posto l’ovvio sull’altare del pensiero, comincia a mutare passando dal cielo alla terra, parlando della realtà percorre i tornanti del linguaggio, scoprendolo come una pista straordinaria della stessa realtà, fino a ritrovarsi davanti il problema lasciatosi alle spalle, ovvero il problema stesso della necessità di una meta physika, di un «oltre» i fatti che sono i valori.
Chiediamocelo tutti: forse che la convivenza umana tramite regole non è un semplice fatto ma anche un valore? Mi sa che ogni morale ha bisogno di realismo e ogni realismo ha bisogno di morale, perché come ci insegna Albert Camus la virtù pura è omicida, ma il cinismo anche.
Morale à la carte
La porta stretta dell’esperienza concreta prima della porta larga del trascendente, il protagonismo dell’individuo prima di un deus ex machina legislatore, più che circoscrivere i contenuti ha dettato uno stile per sviscerare tipologie di comportamento (l’amoralista, il fanatico, l’eroe, il santo, l’ipocrita); individuare piste argomentative (la deontologia e la teleologia); smascherare facili soluzioni (paralogismi e tautologie); non confondere i problemi (quello fondativo, quello normativo, quello storico-genetico, quello educativo); distinguere il piano semantico (il naturalismo, l’intuizionismo, l’emotivismo, il prescrizionismo) da quello ontologico (il realismo e l’antirealismo) e questo da quello gnoseologico (il cognitivismo e il non cognitivismo); porre soprattutto le giuste domande; e in ambito squisitamente teologico distinguere la specificità di un portato teologico dalla sua esclusività (autonomia ed eteronomia).
Tutte portate di un menù ricco che a guardarlo la prima cosa a cui si pensa è: ma di che si tratta? Saranno pietanze succulente o impasti respingenti come sembrano esserlo le loro denominazioni? Non c’è altra soluzione che assaggiare, assaporare, degustare.
L’appetito vien mangiando – si dice – e questo approccio metodologico va proprio ruminato per essere apprezzato nella sua incredibile, inaspettata e insospettata vicinanza al gusto della vita.
Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, l’Istituto di studi bioetici S. Privitera e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).
[1] E. Chiavacci, Teologia morale fondamentale, Cittadella, Assisi 2007, 175.