Etica della ricostruzione. Episodio 2: la tentazione del guscio
Nelle settimane passate ci siamo indignati per gli assembramenti che, nonostante i divieti e le esigenze di «sicurezza», continuavano ad attuarsi e ce la siamo presa soprattutto con gli adolescenti che, pur di stare insieme, non esitavano a trasgredire queste norme. Le nostre erano reazioni più che comprensibili e giustificate.
Quasi un’agorafobia collettiva
Adesso, nel «tempo delle riaperture», si sta verificando un altro fenomeno che non elimina certo ma si affianca al precedente. Si tratta di una sorta di paura di abbandonare la tranquillità del proprio guscio. È un fenomeno che, a vario titolo, investe molti di noi. Se, da un lato, si vuole andare a cena fuori, in palestra, al cinema, dall’altro se c’è un incontro con amici magari ci si interroga se sono tutti vaccinati oppure, come dicevo nel post precedente, si preferisce l’incontro in remoto a quello in presenza che offre meno sicurezza.
Molti giovani, tenuti lontani dai loro coetanei per tanto tempo, cominciano ad avere difficoltà a ritrovare un contatto personale che non sia mediato da un cellulare o da un i-pad. In fondo chiusi nella propria stanza si sta bene. Ne è conferma l’incrementarsi di quel fenomeno noto come hikikomori, cioè la volontaria esclusione sociale che assume i tratti di una vera e propria patologia mentale.
Per certi versi si rischia una sorta di grande agorafobia collettiva, in cui il piacere del ritorno alla normalità, ai rapporti interpersonali, alle uscite con gli amici si associa a un certo disagio nel farlo e a una certa malcelata insicurezza. Alla fine, insomma, si è contenti di rientrare a casa propria.
Una particolare forma di tale affetto per il guscio lo manifestano molte mamme che, pur volendo per i propri bambini il ritorno alla socializzazione, si preoccupano del fatto che stiano con gli amici o con troppi amici. Raccomandano loro di tenersi lontano dagli altri e, diciamolo pure, hanno loro stesse una certa paura ad avvicinarsi.
D’altra parte assistiamo tutti a quella sorta di scossa elettrica che molti manifestano quando accidentalmente toccano o sfiorano un’altra persona: c’è sempre il pericolo di contaminarsi! Meglio stare dentro al guscio.
Purtroppo a volte ci si mettono anche la scienza e la sua divulgazione mediatica a dare un contributo. Le notizie relative ai casi di COVID dopo il vaccino non fanno che confermare, in queste persone, che in fondo non è poi cambiato molto ed è molto meglio tenersi in disparte.
Donare il proprio tesoro
Indubbiamente occorrerà un po’ di tempo per superare tutto questo, ma è un orizzonte che dobbiamo darci, e laddove c’è doverosità c’è anche eticità, ecco perché ne parliamo in queste righe.
Tornare alla normalità significa «aprirsi» all’altro, cioè aprire il guscio anche se questo può aver fatto crescere al suo interno una perla. Ma anche la perla va donata, e va donata al di fuori della conchiglia che la contiene. Ho sempre riflettuto sul fatto che è abbastanza difficile aprire un’ostrica. Forse lo si può leggere metaforicamente come espressione della difficoltà a scoprire un tesoro custodito al suo interno e che è difficile da cogliere.
Non è più il tempo del guscio, e sarà certamente un po’ difficile aprirlo o addirittura romperlo. Ma l’uomo non è animale da guscio, non si porta appresso la casa come una lumaca né si ripara al suo interno come una tartaruga. L’uomo il suo guscio se lo costruisce perché possa uscirne a tempo opportuno. E non si tratta solo di una struttura materiale.
Crogiolarsi compiacenti all’interno del proprio io rischia di rasentare la patologia mentale, e in questi due anni di isolamento sappiamo bene (e sanno bene psicologi e psichiatri) come questa sia aumentata. Ma ci sono anche forme subdole, meno evidenti e meno osservate, che non vanno disattese o sottovalutate. Ed è dovere di noi tutti riconoscerle e superarle.
Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell'ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.