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Moralia Blog

Etica con e senza Dio

«È la morale che conduce necessariamente alla religione», sostiene il filosofo (Kant). «In questo senso [il Vangelo] né fonda l’etica e la sua legge, né la condanna», deduce il teologo (Ruggieri).

Di tanto in tanto un teologo fondamentale usa la parresia quando afferma che il Vangelo – non fondando l’etica ma neanche condannandola – molto più semplicemente si lascia da essa (intesa come cammino dell’uomo) coinvolgere, assumendo un atteggiamento paziente.

Il teologo fondamentale in questione assume sul serio, nella sua ultima fatica La religione come passione morale, la «convinzione kantiana» secondo la quale il rapporto con Dio non è all’origine della vita morale, ma ne è semmai l’esito necessario, ancorché inconsapevole.

Effetto boomerang

Quanto il Filosofo sostiene in La religione entro i limiti della sola ragione «in pectore» al Teologo si trasforma in una domanda a effetto boomerang: può più essere presa in seria considerazione una concezione teologico-religiosa della morale?

Il perché della domanda nasce da un presunto di fondo: l’autonomia morale in senso kantiano rappresenta per la maggior parte dei filosofi (ma non per tutti) e per una piccola parte dei teologi (ma non per tutti) un punto di «non ritorno». Se la morale conduce alla religione e non viceversa, in quanto il rapporto con Dio è esito sì necessario della vita morale, ma non necessariamente tematizzato, è perché il primato spetta alla ragione pratica.

Vicolo cieco?

E se questo è il punto di «non ritorno», quale strada imboccare? Proviamo a seguire un circuito nel quale alla prima proposizione ne segue una seconda e alla seconda una terza e così via, sempre in funzione predicativa:

– La morale è ricerca della giustizia.

– La ricerca della giustizia è il senso dell’ingiustizia.

– Il senso dell’ingiustizia è il percepire la sofferenza dell’altro.

– Il percepire la sofferenza dell’altro è un ottimo alleato del rimando all’assoluto.

– Il rimando all’assoluto è l’affermazione di un Dio non necessariamente tematizzato.

Il punto di «non ritorno» sembra ci abbia costretto a tornare comunque al rapporto «morale-religione», tema con il quale ci eravamo congedati nella scorsa stagione di Moralia.

Alla fine della stagione precedente auspicavamo di stimolare a un confronto su questo rapporto. 

I pochi, i molti e....

Qui, a esordio della nuova stagione di Moralia in ambito teologico-morale fondamentale in dialogo con le istanze filosofiche antiche, moderne e contemporanee, vogliamo tornare a questo punto di «non ritorno» per chiederci da teologi il motivo per cui alcuni filosofi (pochi) potrebbero essere d’accordo con molti teologi (non tutti) sulla legittimazione di una dipendenza della morale dalla religione, sulla base del fatto che la giustificazione religiosa (quella teistica nello specifico) della morale sarebbe in grado di rendere ragione delle proprietà essenziali della morale rispetto a quella non religiosa (quella non teistica nello specifico).

Ad accomunare i pochi (filosofi) e i molti (teologi) – se escludiamo per un attimo lo specifico della rivelazione – è l’ipotesi del teismo posta a prospettiva di fondo che permette – a detta degli uni (pochi) e degli altri (molti) – di esplicare alcuni aspetti dell’esperienza umana, compresa quella morale, sostenendo in un modo o in un altro le ragioni dell’eteronomia.

Questa ipotesi non avalla che gli atei o gli agnostici non abbiano la possibilità di esperire il bene (cosa del resto facilmente confutabile in forza della stessa esperienza), bensì che una professione esplicita di ateismo è più problematica in rapporto a una riflessione teoretica più esaustiva delle categorie di obbligazione o di esigenza morale. 

...gli altri

Tutto giusto! Ma poniamoci una domanda: che ne pensano quei pochi (stavolta teologi e non filosofi) che non la pensano come gli altri pochi (filosofi) e gli altri molti (teologi) sostenitori di una visione teistica della morale, ma che non per questo sono dello stesso parere dei molti (filosofi) che sostengono un’etica senza Dio?

 

Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia e l’Istituto di studi bioetici S. Privitera. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Morale autonoma in contesto cristiano (2021). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).

Commenti

  • 17/01/2024 Domenico Militello

    Buongiorno, io non credo che la morale sia una conoscenza "seconda". Perché se la coscienza è il sacrario dell'uomo e il luogo deputato alla più intima e rivelativa relazione con Dio, in cui il soggetto è, dunque, coinvolto integralmente, nell'atteggiamento - mente, cuore - e nel comportamento - agire pratico - non può che essere la via preferenziale della Verità e alla Verità, proprio in virtù del momento creazionistico, in cui Dio ha voluto imprimere all'umanità il tratto distintivo che le è proprio: la razionalità.

  • 16/12/2023 Luca Novara

    Buongiorno, mi sembra però che l'approccio, anche kantiano e illuministico, alla questione del rapporto tra morale e religione trascuri, come spesso accade, il ruolo svolto dall'evidenza dell'esperienza morale concreta. La teologia e, in specie, la teologia morale è una forma di sapere "secondo" rispetto al sapere proprio di cui il credente già vive, essa è pratica e "patica". Mi sembra che la vena intellettualistica che attraversa la tradizione continui a generare equivoci, nella direzione della non considerazione dell'evidenza della verità connotata dal desiderio e rispettivamente dal volere e dal momento pratico della vita. Credo che, più che da Kant per la questione in oggetto, dovremmo partire da MacIntyre... Luca Novara - ISSR San Metodio, Siracusa - Studio Teologico S. Paolo, Catania

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