Esistono azioni intrinsecamente illecite?
Si può essere consequenzialisti senza essere relativisti? La domanda suona retorica se abbiamo già deciso in partenza che i termini che la compongono sono pressappoco sinonimi.
Se per «consequenzialista» intendiamo colui che in base al fine prefissato pensa bene di usare qualsiasi mezzo adatto a raggiungerlo, il passo è breve per concludere che se si è consequenzialisti non si può che essere relativisti.
Alla ricerca del vero quesito
Ma proviamo per un attimo a chiarire lo sfondo per cui consequenzialismo e relativismo coinciderebbero. Esso può essere presentato secondo questo altro interrogativo: esistono azioni intrinsecamente illecite? Esistono cioè azioni che, avessero pure conseguenze positive, sono in sé stesse cattive?
Ebbene: se le azioni in sé cattive sembrano definirsi tali in relazione all’assenza di considerazione di qualunque calcolo delle conseguenze e, di contro, i consequenzialisti sono tali per la considerazione delle conseguenze; e se i relativisti sono quelli che escludono l’esistenza di tali azioni, ne risulta che i consequenzialisti non possono che essere relativisti, perché la loro identica identità si misura dall’esclusione dell’esistenza di queste azioni.
Una volta per tutte chiariamoci!
Alla luce di questo ragionamento, urge chiarire quanto segue: veramente per i consequenzialisti non esistono azioni intrinsecamente cattive?
Riflettiamo un po’: se tali azioni sono dette sempre illecite, vuol dire che c’è un solo motivo, ovvero che esisterebbe qualcosa che li connota moralmente, ragion per cui la loro negazione è la negazione di questa connotazione, ovvero del punto di vista morale.
Pertanto chi dice che non esistono azioni di tale portata sta dicendo che, per esempio, l’agire ingiusto può essere in sé contemplato in alcuni casi. Ma può mai un agire ingiusto essere giusto in alcuni casi? Cioè: se indichiamo con la parola «omicidio» la soppressione di una persona innocente, con la parola «rubare» la sottrazione di una cosa che non ci appartiene, con la parola «menzogna» un negare la verità, con la parola «violenza» un sopruso insopportabile, è chiaro che omicidio, rubare, mentire, violentare sono già termini qualificati come di per sé moralmente deplorevoli, pertanto la loro intrinseca cattiveria è già contenuta nella loro definizione.
Dunque anche il consequenzialista di fronte all’azione di uccidere, di rubare, di mentire, di violentare, non può che dichiarare che queste azioni sono in sé stesse cattive. Di fronte ad azioni del genere, cioè, ovviamente non si potranno mai avere eccezioni o casi in cui esse potrebbero essere compiute, perché affermare questo sarebbe come dire che il male può essere fatto. Chi sostiene questo è il relativista. Ma il consequenzialista sostiene questo? Sfido chiunque a cercare tra i consequenzialisti qualcuno che ammetterebbe come lecita l’azione di uccidere qualcuno per rendere omaggio a Dio oppure come lecita una violenza sessuale per trarne piacere.
Riformuliamo la domanda
Allora la domanda sull’intrinsece malum è mal posta: non è se esistano o no davvero dei modi di agire in sé cattivi. Lo ribadiamo con forza: esistono perché se non esistessero dovremmo ammettere che non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è buono e ciò che è cattivo.
La domanda è: sono le azioni intrinsecamente cattive che vengono negate dal consequenzialista, oppure sono gli argomenti che le fondano? Per esempio tali azioni lo sono perché contro natura oppure perché mancherebbe il permesso di compierle. Ecco: il consequenzialista è colui che non crede che si possano definire azioni intrinsecamente cattive solo perché contro natura oppure perché non si ha il permesso di compierle, ma per il semplice fatto che vi sono azioni come uccidere, rubare, violentare, spergiurare, ingiuriare ecc., che sono già di per sé connotate moralmente.
In questo la distanza tra il relativista (colui che nel negare le azioni intrinsecamente cattive nega l’esistenza del punto di vista della morale) e il consequenzialista (colui che guarda alle conseguenze ma dalla prospettiva del punto di vista della morale) è siderale.
Dunque proviamo a guardare le conseguenze di alcune azioni tenendo fisso lo sguardo al punto di vista della morale: sarebbe mai lecito uccidere un innocente per offrirlo a Dio? Sarebbe mai lecito stuprare una donna per raggiungere il piacere? Sarebbe mai lecito rubare per fare la carità? Questi interrogativi hanno una sola risposta: no, mai!
Ora: quando colui che non è un relativista, e identifica il relativista con il consequenzialista, sostiene l’esistenza delle azioni cattive in sé si chiede se quelle che lui considera tali sono veramente tali, oppure gli basta tirare in ballo argomenti come il secondo natura oppure la mancanza di permesso?
Pietro Cognato* insegna teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, la Facoltà di giurisprudenza – LUMSA e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Ha scritto Prendersi cura della vita. Prospettiva etico-normativa e riflessione teologico-morale del valore vita (2008), Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012), Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015).