È scomparsa la fedeltà? Ecco perché...
«Salvami, Signore! Non c’è più un uomo fedele; è scomparsa la fedeltà tra i figli dell’uomo». A sentire queste parole del Salmo 12 si può senz’altro affermare che la preoccupazione per il venir meno della fedeltà non è certo un’esclusiva dei nostri giorni.
Eppure, forse mai come prima, avvertiamo come la pratica della fedeltà sia oggi estremamente difficile non tanto a causa del tradimento e della fragilità dei singoli, ma per motivi di ordine generale, «sistemici», per così dire.
Se ci si limita solo a una spiegazione individuale, difficilmente si potrà uscire da quell’impressione di moralismo e di nostalgia dei bei tempi andati che caratterizzano tanti appelli alla fedeltà.
Legami, temporalità e fiducia
La fedeltà implica anzitutto il riconoscimento positivo dei legami. Essi, lungi dall’essere una minaccia per la libertà, sono costitutivi della persona, la realizzano nella sua autenticità. Fin dal suo venire al mondo ogni essere umano è legato ad altri, e la sua crescita si gioca esattamente nell’assunzione libera, grata, responsabile di questi legami.
Per vivere la fedeltà, poi, occorre apprezzare la temporalità dell’esistere e dell’agire: temporalità che implica la memoria, la gratitudine verso il passato e insieme l’apertura al futuro, l’attesa operosa verso ciò che avviene. Se si sfalda il legame (ancora una volta!) con il passato e il futuro, la vita implode su un presente sempre più «atomizzato», fatto di istanti slegati tra loro. La fedeltà fiorisce solo dove l’esistere assume la dimensione del «progetto».
La fedeltà, infine, non si può esercitare senza una previa apertura alla fiducia. Solo se supero il sospetto che chiude in sé stessi e so fidarmi dell’altro, solo se do credito al «tu» che ho di fronte posso vivere la fedeltà che, assumendo la fiducia, diventa affidamento. Per questo la fedeltà non è mai semplicemente inerzia, né tantomeno ostinazione: essa si vive nella libera dedizione verso l’altro o verso i grandi ideali dell’esistenza.
Certo, se la società non si costruisce a partire da queste coordinate, la possibilità di un’autentica fedeltà risulta assai ardua. Se si concepiscono i legami come ostacoli e come vincoli da sciogliere, se ci si appiattisce sul mito della fruizione immediata, se si alimenta il sospetto verso l’altro, se si deride la fiducia e l’affidamento come ingenuo buonismo, è evidente che la pratica della fedeltà è compromessa in radice o, nel migliore dei casi, demandata all’eroismo individuale.
Fede e fedeltà
La fedeltà, si diceva sopra, presuppone la fiducia e l’affidamento. Il che significa, in altri termini, che è questione di fede. E non meraviglia, dal momento che la fede è alla base dell’agire morale.
Ma si può dire anche, inversamente, che la fede è questione di fedeltà. Romano Guardini, nel suo aureo libretto dedicato alle virtù, osserva come i termini «credere», «fede» (Glauben) significhino «fare voto, promettere» (geloben), promettere fedeltà. E spiega che così la fede acquista un nuovo senso, perché definisce quell’atteggiamento in cui l’uomo «supera il tempo della lontananza e del silenzio di Dio».
La fede è vera quando Dio non parla più, quando appare distante. Quello che Guardini afferma del legame con Dio vale anche in ogni relazione con l’altro: solo se so vivere nel tempo della lontananza, solo se assumo con libera responsabilità la distanza nella relazione con l’altro, posso anche sperimentare davvero la benedizione della fedeltà.
Stefano Zamboni