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Moralia Blog

Dopo i «Dialoghi» sui rifugiati: una rilettura guidata dall’empatia

All’inizio di gennaio 2018, Moralia ha pubblicato un dossier nella serie «Dialoghi» sul tema dei migranti e dei rifugiati, nel quale abbiamo chiesto a vari esperti del mondo della teologia e delle scienze sociali di commentare il Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018. Nei ricchi e bei contributi di Gioacchino Campese, Alessandra Ciurlo, Alessandro Cortesi, Pier Davide Guenzi, Mariacristina Molfetta e Placido Sgroi c’è molto da riflettere e da meditare, specialmente quando ascoltiamo i discorsi che si fanno durante l’attuale campagna elettorale in Italia, e seguiamo i notiziari internazionali dominati dalle peripezie di Donald Trump e dai suoi tweet in tema di immigrazione.

Vari modi di commentare un testo del papa

Non è possibile riassumere qui i contributi di questi autori: ogni testo è un condensato di idee, riflessioni e informazione che possono nutrirci come cittadini, arricchire i dibattiti che facciamo con i nostri parenti e vicini in questo periodo, e fare delle scelte con una coscienza ben formata. Vorrei invece condividere quattro testimonianze e una preghiera, che servono da commentari paralleli al dossier dei «Dialoghi» di Moralia, e che mi hanno permesso di rileggerne i contributi più in profondità.

Il 25 gennaio ho partecipato a un incontro pubblico con il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, organizzato dal Centro Astalli in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018. Nell’occasione quattro rifugiati da varie parti del mondo hanno condiviso le loro esperienze, riflettendo sui quattro verbi del messaggio di Francesco, che anche noi abbiamo commentato nel nostro dossier Moralia: accogliere, proteggere, promuovere, e integrare (qui le testimonianze).

Quattro verbi, quattro testimonianze

Soumaila, 29 anni, laureato in legge e portavoce nel Mali di un partito di opposizione molto critico verso il governo, ha parlato della sua esperienza di essere accolto in Italia dopo essere fuggito dalla persecuzione: dopo un naufragio in mare e il trauma di vedere annegare decine di persone, essere salvati e accolti in un paese dove ci si può sentire sicuri è un’esperienza meravigliosa. Certamente Soumaila ha visto anche l’altra faccia dell’Italia e dell’Europa, quella che costruisce muri fisici e legali per non accogliere l’altro. Mentre lo ascoltavo ho sperato che la formazione in giurisprudenza gli permetta di migliorare la propria condizione, e di fare accogliere altri come lui.

Successivamente Osman ha commentato il verbo «proteggere». Fuggito a 18 anni dalla Somalia, paese in preda ai signori della guerra e poi ai militanti islamisti, egli ha ricevuto l’asilo in Italia. Da anni lavora nelle scuole accogliendo i giovani italiani con le loro domande sui rifugiati e i migranti e spiegando loro, attraverso il racconto della propria vita, perché è necessario che tra cittadini dei vari paesi del mondo ci offriamo a vicenda la protezione dalla persecuzione e dalla violenza insensata. Parlando in questo modo con gli studenti si superano i pregiudizi e la paura dell’altro, che sono anche ciò che fomenta le prolungate crisi politiche come quella somala.

Soheila, trentenne, ci ha parlato della promozione dei migranti e dei rifugiati. Laureata in arte, è fuggita dall’Iran in Danimarca, ma dopo un anno si è scoperto che il suo volo aveva fatto scalo in Italia e che quindi, secondo il regolamento di Dublino, doveva tornare in Italia e fare qui la richiesta d’asilo. Dopo un periodo di sofferenza nel quale ha subito vari interventi alla testa ed è stata in coma, adesso è ben inserita nel mondo del disegno grafico in Italia. Attraverso l’arte ha trovato un modo di promuovere – di comunicare – in modo eloquente ed efficace la sua “causa”, cioè la sua esperienza e quella di tanti altri che sono di per sé stessi eloquenti, ma che molti rifiutano di ascoltare.

Infine Jawad, un uomo di etnia hazara, ha commentato il verbo «integrare». Rischiando di essere reclutato come bambino-soldato o di subire violenze dalle milizie delle altre etnie, a 13 anni è fuggito dall’Afghanistan. Il suo racconto mi ha fatto rivedere le immagini del docu-film di Michael Winterbottom Cose di questo mondo (2003). Il padre di Jawad voleva che egli diventasse un uomo di pace, che studiasse all’estero, dicendogli che i conflitti si risolvono non con le armi, ma con il dialogo tra persone sagge e ben formate, capaci di mediare tra visioni e interpretazioni diverse della realtà. Jawad lavora oggi come mediatore culturale e ha imparato a immedesimarsi nella cultura altrui attraverso il lavoro semplice (in una fabbrica di marmo, consegnando pizze a domicilio, ecc.) e lo studio. Si è diplomato in matematica e in sociologia, e da qualche anno si è trasferito in Italia per potersi ricongiungere con la fidanzata e per sposarsi.

L’empatia come invito e stimolo per il pensiero

Ascoltare delle testimonianze del genere ci permette di non perdere di vista le persone e il loro vissuto. Non importa quale sia la nostra nazionalità o schieramento politico, se abbiamo un cuore umano che si lascia toccare e persino ferire dal volto e dal racconto di chi, nel nostro mondo, chiede con onestà di essere accolto, protetto, promosso e integrato, è naturale che proviamo dell’empatia.

Possiamo offuscare e seppellire questo sentimento (o evitare di partecipare a degli eventi, come quelli del Centro Astalli, che tendono a suscitare dei sentimenti del genere verso i migranti e i rifugiati), per evitare il conflitto che questo genera con altre storie: storie di vittime del crimine o del terrorismo usati in alcuni blog o nei discorsi politici per dipingere i migranti e i rifugiati come coloro che fanno soffrire gli autoctoni. (Ovviamente il crimine, il terrorismo, le vittime e la loro sofferenza esistono realmente; quello che è inventato è l’immediata colpevolezza dei «rifugiati» o degli «immigrati» come gruppo generico, in queste vicende, e l’illusione che la soluzione stia nel punirli tutti o chiudere le frontiere). Possiamo anche lasciarci trasportare immediatamente dai sentimenti e buttarci direttamente nel mondo dell’attivismo a favore dei richiedenti asilo, senza prendere il tempo per capire bene le cose.

Ovviamente invece di rimanere chiusi nel mondo dei mutevoli sentimenti, o impegnarsi subito a risolvere il primo problema che ci sembra essere la causa «ovvia» della sofferenza delle persone per le quali proviamo empatia, la cosa più sensata sarebbe di informarsi meglio, da fonti attendibili, per poi agire saggiamente e giustamente. È molto importante andare oltre le testimonianze e le emozioni, e per questo abbiamo voluto offrire uno strumento per fare ciò, attraverso il dossier dei «Dialoghi». Abbiamo puntato, attraverso i contribuiti, a formare la mente ascoltando degli esperti, che ci hanno aperto degli orizzonti per futuri approfondimenti. Ma la vita e il volto di persone come Soumaila, Osman, Soheila e Jawad sono doni preziosissimi: sono infatti ciò che anima e spinge molti di noi in quanto cittadini, discepoli di Gesù e studiosi di teologia morale e di scienze sociali, a tuffarci nel mondo della ricerca, dei dati e degli argomenti complessi, per avere più chiarezza nel decidere e per poter accompagnare e guidare le scelte dei i nostri vicini.

Dialogare… con Dio. Una preghiera per stimolare l’anima

Per accogliere, proteggere, promuovere e integrare bene l’altro, occorre dialogare. Dialogare con i migranti e i rifugiati, ascoltando le loro testimonianze. Dialogare con degli esperti, leggendo i loro contributi. Dialogare con gli amici e i concittadini. Ma non dobbiamo dimenticare il dialogo con Dio nella preghiera.

Durante l’incontro organizzato dal Centro Astalli abbiamo recitato con il card. Bassetti una bellissima preghiera. Certamente non basta ripetere le preghiere formulate da altri e ciò che chiediamo noi al Padre celeste: bisogna anche ascoltare il nostro cuore e lo Spirito che gli parla. Ma anche qui, una preghiera che riceviamo da un altro spesso può servire da trampolino e da stimolo per iniziare un dialogo a tu per tu con Dio, un dialogo fatto dal linguaggio e dai silenzi che incontriamo nel profondo dell’anima. Per questo motivo, vorrei citare qui la parte finale della preghiera che il Centro Astalli ci propone quest’anno:

Dio della pace, ascolta oggi la nostra preghiera: mostraci la via di quella pace che tutti desideriamo e cerchiamo, la pace che nasce nel cuore che cambia nell’incontro con l’altro accolto come dono, la pace che nasce nel cuore di chi proteggere i più deboli, la pace che nasce nel cuore quando ci si promuove come persone, la pace che cresce quando tutti possono vivere integrati nelle nostre città. Dio amante della pace, ascoltaci!

Commenti

  • 06/02/2018 pomponi.marcella@gmail.com

    Condivido quanto ho letto, ma dobbiamo fare ancora più voce partendo dagli ultimi avvenimenti di Macerata. Fra poco voteremo. Troppe voci si stanno alzando contro gli immigrati. Riflettiamo bene prima di indicare un nome.

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