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Divorzio breve, o il paradosso del legislatore

L’introduzione in Italia del divorzio civile, negli anni Settanta, intendeva lasciare “intatte” le convinzioni dei soggetti che accedevano al matrimonio. Nel corso del tempo, in ambito sociale, civile e legislativo, quello che appariva come un esercizio di responsabilità politica per il bene delle persone ha registrato una progressiva mutazione di significato, relegando il valore e/o la tenuta del matrimonio all’esclusiva decisione individuale dei contraenti e, soprattutto, alleggerendo il ruolo delle tutele sociali.

Una dinamica di privatizzazione

L’attuale legislazione sul “divorzio breve” deve essere letta in questo processo di “privatizzazione” del senso del legame coniugale. La recente introduzione in ambito italiano – recettiva di tendenze di più vasto respiro sullo scenario del diritto internazionale –, può forse contribuire a risolvere talune situazioni dolorose connesse all’inevitabile scioglimento del vincolo matrimoniale, ma porta anche a galla il paradosso del legislatore.

Da una parte questo avverte l’impossibilità di rinunciare a definire un valore sociale dell’unione matrimoniale, alla luce del principio secondo il quale la consistenza del patto coniugale e familiare non riveste importanza solo per quanti vi sono direttamente coinvolti, ma per la coesione della stessa società. Dall’altra, tale valore sociale viene progressivamente impoverito di senso, fino a rendere il matrimonio un atto privato, lasciato alla revocabilità degli affetti individuali.

La questione del “divorzio breve” si iscrive, pertanto, in un processo più pervasivo e di lunga durata, nel quale la pressione dei diritti individuali di libertà finisce per rendere l’istituto civile del matrimonio un atto svuotato di significati riferibili a un’etica civile alla base del patto sociale e costituzionale. Un atto per il quale ogni responsabilità etica si risolve nell’affidare al giudizio dei singoli di non essere impediti nell’espressione delle proprie scelte individuali. Tale principio liberale, però, sembra derogare all’altro evidente compito di aiuto e di sostegno dei coniugi nei momenti critici della vita coniugale.

Al di là di ogni valutazione etica, resta da chiedersi, al netto di un bilancio quasi utilitaristico, cosa si guadagna e cosa si perde con l’introduzione del “divorzio breve”. Occorre evitare semplicemente di ragionare su “fatti” (che pure vanno tenuti seriamente in considerazione), ma ridefinire il senso, cioè la direzione o la finalità delle regole condivise. Ogni cultura, pur con differenti livelli di percezione e intensità, individua forme di riconoscimento e di tutela della coppia di fronte al proprio futuro. «La funzione del rituale matrimoniale è duplice: inserire la coppia nascente nella società, ma proteggere anche l’intimità nascente della coppia» (X. Lacroix).

Una responsabilità sociale

Quali sono, allora, le conseguenze e le incidenze di tali regole sulla qualità della vita affettiva-relazionale dei giovani che si avviano al matrimonio? Anche questa risulta essere un’imprescindibile responsabilità sociale del legislatore, senza per questo correre il rischio di toccare l’intangibile sfera della convinzioni personali o dei diritti individuali. Quale considerazione dell’importanza dell’intimità affettiva si intende tutelare attraverso tale dispositivo legale? L’accentuazione della libertà non incontra oggi un soggetto forte, capace di autodeterminarsi e assumere con responsabilità il peso della proprie scelte individuali. Nell’attuale contesto abbiamo piuttosto un soggetto radicalmente indebolito, che corre il rischio di essere lasciato solo davanti al peso della gestione dei suoi fallimenti o, in ogni caso, di quegli aspetti di fragilità che incrinano il desiderio di trovare stabilità nella propria vita.

L’ampliamento delle responsabilità individuali non può essere disgiunta da un effettivo interesse da parte della comunità politica e civile per i destini delle persone. Il “divorzio breve” potrebbe, pertanto, essere interpretato come una sottrazione di responsabilità da parte dell’autorità pubblica, di fatto introducendo un vulnus all’idea del bene comune, ideale diventato altrettanto impalpabile per definire la funzione e i compiti dello stato.

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