Dimmi come educhi… I beni comuni ambientali in crisi
Con cadenza regolare ci troviamo a raccontare di disastri ambientali: venti che distruggono boschi secolari, esondazioni devastanti, alluvioni, siccità prolungate… Contiamo i danni e, soprattutto, piangiamo le vittime.
Con altrettanta regolarità, però, voltiamo pagina senza battere ciglio. Fatichiamo a fare tesoro di ciò che capita per prendere le misure e, per quanto possibile, prevedere di limitare i danni attraverso una saggia attenzione al territorio. «Coltivare e custodire» la terra implica anche la dimensione del prendersi cura dei beni comune ambientali, che troppo spesso vengono trascurata e finiscono nell’oblio.
Fino alla successiva catastrofe naturale. Che, tra l’altro, si verifica sempre più ravvicinata nel tempo, a causa dei cambiamenti climatici!
Gestire i beni comuni
La cronaca recente porta a fare qualche riflessione proprio sui beni comuni ambientali. La loro cura e gestione può metterci al riparo da eventuali guai futuri. Come non riconoscerlo? Eppure in gioco non c’è solo la salvaguardia del territorio (cosa già di per sé pregevole), ma un modello di relazioni sottostanti. Ciò dipende anche dal fatto che i beni comuni ambientali sono risorse limitate. L’intervento dell’uomo si fa necessario per offrire criteri etici gestionali.
Proviamo a fare qualche esempio. L’aria che respiriamo non è detto che sia pulita. In alcune città è veleno: provoca malattie perché insalubre. I relativi costi si riversano sul sistema sanitario. Per il bene comune sarebbe opportuno conservare i grandi «polmoni» del mondo e dei territori: le foreste pluviali, i boschi e le concentrazioni di verde o i parchi cittadini. Essi sono una salvezza.
Così per l’acqua. Non ci basta avere a disposizione, in modo generico, acqua. Ce n’è bisogno di potabile e pulita. Ciò mette in questione la qualità dell’acqua che entra nelle abitazioni, ma anche come depuriamo quella che esce dagli scarichi urbani. Le acque reflue possono tornare in circuito come pericolo per la salute pubblica o come bene recuperato.
E così pure per la biodiversità. La perdita di specie vegetali o animali impoverisce ciò che qualifica un territorio. L’ideale della quantità produttiva ha ridotto enormemente il numero di sementi a disposizione. Con il pericolo di far confluire la loro proprietà in mano a poche multinazionali. Oggi negli Stati Uniti si coltivano tre specie di frumento, in Italia 140. Rinunciare a questa biodiversità significherebbe perdere di vista la qualità produttiva dei diversi terreni. E farebbe scadere inevitabilmente la bontà delle farine e dei prodotti alimentari. L’illusione è pensare che la risposta al problema della fame nel mondo sia solo una questione quantitativa di produzione agricola e industriale. È anche una questione qualitativa che voglia tutelare le differenti cultivar e, quindi, le culture sottostanti.
L’orizzonte di riflessione è offerto da papa Francesco. Scrive nell’enciclica Laudato si’ al n. 111:
«La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico».
Questione di sguardi
Dunque è questione di sguardo, di pensiero, di educazione e di spiritualità. Questo è il cambio di passo richiesto alla politica, se vuole davvero affrontare la questione. Salvaguardare i beni comuni ambientali significa salvaguardare la nostra umanità: un uomo che contempla, valorizza, tutela, consegna alle generazioni future.
Viene alla mente l’esempio degli abusi edilizi. I condoni promuovono la malaugurata idea che se si fa il furbo si ottiene persino quel che non sarebbe consentito dalla legge. Costruire in zone a rischio spiana la strada alla corruzione. Diseduca a sentirsi responsabili del territorio. E mercifica il paesaggio: basta infatti pagare una multa per poterlo calpestare come si vuole. Salvo piangere vittime quando la natura si riprende i suoi spazi.
Sarebbe meglio congedare i condoni e investire in formazione delle coscienze... perché le nostre scelte educative parlano di noi. Dimmi come guardi, pensi, educhi… e ti dirò chi sei!