Cure alternative: ciarlatani, interessi economici e drammi umani
Accanto a vicende tristemente famose come quelle del Metodo Di Bella e il c.d. Protocollo Stamina che hanno occupato per lunghi periodi ampi spazi nella comunicazione mediatica, sono purtroppo ricorrenti notizie riguardanti l’esito tragico di pazienti affetti da gravi malattie che non hanno seguito le cure disponibili della medicina ufficiale per affidarsi a risorse alternative.
Accanto a vicende tristemente famose come quelle del Metodo Di Bella e il c.d. Protocollo Stamina che hanno occupato per lunghi periodi ampi spazi nella comunicazione mediatica, sono purtroppo ricorrenti notizie riguardanti l’esito tragico di pazienti affetti da gravi malattie che non hanno seguito le cure disponibili della medicina ufficiale per affidarsi a risorse alternative.
Si tratta di notizie brevi che non ottengono particolare attenzione nell’opinione pubblica, salvo poi concludersi con una vicenda giudiziaria che vede contrapposti gli interessi dei parenti a quelli di quanti propongono miracolose soluzioni per patologie molto gravi.
Sulla rete c’è davvero di tutto per chi si trova a lottare tra la vita è la morte, in cerca di una prospettiva che consenta ancora di sperare a fronte di una prognosi infausta. C’è chi tenta di curare i tumori con aloe e bicarbonato, con tisane e clisteri, chi imputa l’insorgenza delle neoplasie a disturbi psicologici e propone tecniche per il recupero dell’equilibrio energetico e mentale. Il tutto senza alcuna evidenza scientifica e in cambio dell’elargizione di somme ragguardevoli, che rendono le alternative un vero “business della disperazione”.
Inevitabile è l’indignazione per lo sfruttamento opportunistico della sofferenza altrui e la meraviglia che all’inizio del terzo millennio ci si affidi ancora a ciarlatani e fattucchiere, nonostante i progressi della medicina che mette a nostra disposizione risorse terapeutiche di comprovata efficacia. Al di là di queste legittime reazioni istintive sembrano pertinenti due rilievi etici.
Due esigenze etiche pertinenti
Il primo riguarda la condizione del paziente di fronte a una malattia grave e potenzialmente mortale che mette a nudo l’estrema vulnerabilità della nostra condizione umana. In queste situazioni la libertà del soggetto si presenta fragile e insicura, bisognosa di essere sostenuta da persone affidabili, impegnate in relazioni di accompagnamento disinteressate e solidali. L’autonomia del malato nella realtà concreta è tutt’altro che assoluta ed eroica: così appare solo nella letteratura bioetica di fine vita che tende a presentarci un quadro idealizzato della persona di fronte alla propria morte. Più che di discorsi teorici qui c’è bisogno di prossimità e accompagnamento in un clima di autentica partecipazione.
Il secondo rilievo riguarda la condizione di esercizio della medicina contemporanea. Certamente essa ha compiuto passi da gigante nell’ultimo secolo riuscendo a sconfiggere molte patologie e a cronicizzare diversi quadri clinici prolungando la sopravvivenza spesso con una buona qualità di vita. Ciò grazie all’applicazione rigorosa del metodo scientifico, a trials clinici controllati, alla pubblicazione dei risultati verificati dalla comunità scientifica. L’efficacia oggettiva delle risorse terapeutiche, però, non sembra sufficiente a rispondere a tutte le domande del paziente, in particolare a quelle riguardanti il senso della sofferenza, della vita e della morte.
La prima esigenza etica che si pone quando ci rivolgiamo a un operatore sanitario è quella della sua competenza scientifica, ma non meno importante appare, oggi più che mai, la sua “competenza umana” perché ascolto, empatia, coinvolgimento e compassione. Queste fanno la differenza e possono prevenire il rischio di rivolgersi a soluzione alternative, per nulla efficaci, ma che in qualche modo rispondono a bisogni fondamentali della persona per i quali la sola tecnica bio-medica non appare sufficiente.