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Moralia Blog

Crisi dei diritti sociali e crisi economica: un rapporto complesso

E' ormai diffusa la prassi di giustificare istituti normativi in base a criteri economici: nell’ultima campagna referendaria, ad esempio, l’abolizione atipica del Senato veniva motivata anche con la necessità di tagliare i “costi della politica”. Tale pratica pone, però, diversi interrogativi, anche di forte rilevanza etica.

 

E' ormai diffusa la prassi di giustificare istituti normativi in base a criteri economici: nell’ultima campagna referendaria, ad esempio, l’abolizione atipica del Senato veniva motivata anche con la necessità di tagliare i “costi della politica”. Tale pratica pone, però, diversi interrogativi, anche di forte rilevanza etica.

Un paradigma costi-benefici?

Si potrebbero fare altri e numerosi esempi sul tema; certo, è del tutto consueto nel dibattito politico degli ultimi anni incontrare argomenti che giustificano interventi legislativi a partire da motivazioni economiche. La questione tocca, evidentemente, il nervo del rapporto tra diritto ed economia (si parla di studi su law and economy) e, quindi, il tentativo di approcciarsi agli istituti giuridici attraverso la lente propria del paradigma costi-benefici.

Ciò presuppone spesso, da un lato, la tentazione di guardare ai diritti come ad una questione esclusivamente economica, dall’altro, invece, la volontà di riproporre la dialettica marxista dell’economia quale struttura della realtà sociale di cui lo stesso diritto sarebbe sovrastruttura. 

Il diritto ne esce subordinato all’economica. Anzi, meglio, i diritti trovano, in tal modo, nell’economia la loro giustificazione ultima; quando, in realtà, i diritti non possono che avere il loro intrinseco fondamento nell’apprezzabilità morale e nella rilevanza sociale della tutela della dignità della persona umana in quanto tale.

Crisi economica e crisi di diritti

Eppure la crisi economica ha coinvolto, in un modo o nell’altro, la nostra percezione dei diritti. «Tempi brutti, tempi difficili per parlare di diritti»: così Javier de Lucas iniziava, nel 2009 - ad appena un anno dall’innesco della grave crisi economica di cui ancora stiamo vivendo gli effetti - un suo studio sulla condizione dei diritti culturali degli immigrati. Il riferimento era soprattutto indirizzato ai diritti sociali, i cosiddetti diritti di terza generazione: secondo de Lucas i “tempi brutti” erano «ancora peggiori per discutere sui diritti sociali».

In realtà, a essere in pericolo non sono soltanto i diritti sociali, ma le più generali categorie pubblicistiche di libertà (negative) e di diritti (positivi). Certo, è chiaro che ogni riconoscimento di una sfera di non ingerenza dei pubblici poteri nella coscienza dell’individuo, così come ogni previsione normativa positiva di tutela della posizione soggettiva, impone l’impegno economico di un autonomo capitolo di spesa nel bilancio dello Stato.

Il diritto alla giustizia, ad esempio, non può essere efficace senza l’organizzazione, pure in termini pratici, della macchina processuale; l’elettorato attivo e passivo comporta necessariamente la  strutturazione di un apparato (urne, scrutatori,...) che lo renda effettivo come diritto. Insomma i diritti - tutti i diritti - hanno un loro “costo”: possono essere in una certa misura monetizzati.

Un altro punto di vista

E' quindi evidente che «le crisi economiche sono, presto o tardi, crisi di diritti», come afferma Francisco Ansuategui, ossia crisi che coinvolgono le garanzie apprestate alla tutela delle posizioni soggettive degli individui. Ma perché dovrebbe essere così, se non si può trovare nell’economia la giustificazione ultima dei diritti? Il motivo è da rintracciare nell’evidenza che i diritti hanno bisogno di un tessuto economico capace di assicurare il loro “funzionamento”.

E tuttavia come faccia diversa di una stessa medaglia, bisogna aggiungere che i diritti sono indicatori del benessere di una collettività e segnano il passo per lo sviluppo economico e sociale. Pur condizionati nella loro effettività in tempi di crisi economica, al tempo stesso i diritti si presentano quali fattori – direbbe Amartya Sen - di crescita economica. I diritti “costano”, insomma. Ma il “beneficio” di una loro tutela in termini di sviluppo sociale (e, quindi, anche economico) è superiore.

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