Cosmopolis. Una politica ospitale
«Per vivere da soli si deve essere una bestia, o un dio o un filosofo, ma l’uomo è tutt’altro, egli è per natura un animale politico». L’affermazione di Aristotele può senz’altro essere messa in discussione nella prospettiva giudeo-cristiana di un Dio che decide liberamente di non vivere solo, ma di «farsi accogliere», prima ancora che accogliere l’umanità nella sua comunione (cf. Ap 3,21).
Ma il filosofo giustamente ricorda che la dimensione politica è, prima di tutto, costitutiva dell’essere umano e che l’uomo dovrebbe scoprire, proprio come prerogativa della politeia, l’essere cittadini, il valore del bene comune.
La ricerca di quest’ultimo non è esente da tensioni, deve continuamente essere riaggiustata e orientata da una progettualità condivisa che implica un’armonizzazione dinamica di prospettive diverse.
Una politica per il vivere insieme
Come attuare questo senza correre il rischio di calpestare la fecondità delle differenze? Riscoprendo nell’azione politica la centralità dell’essere umano e rioccupando quello spazio da tempo appaltato alla logica consumistica, dimensione narcisistica che crea necessità e dipendenza piuttosto che appagare i bisogni fondamentali.
Ora è proprio attraverso l’ospitalità che ci mettiamo sulle tracce di una vera relazione all’altro, ma anche al creato tutto, nel segno della gratuità e della corresponsabilità, rifiutando ogni tipo di assimilazione/appropriazione e interpretando anche i rapporti d’autorità come servizio.
«L’ospitalità diventa nello stesso tempo luogo del divenire umano, e luogo del combattimento dell’umano contro tutto quello che rischia un giorno di far violenza all’umano» (C. Monge, G. Routhier, Il Martirio dell’ospitalità. La testimonianza di Christian de Chergé e Pierre Claverie, EDB, Bologna 2018).
Si tratta non solo di pensare l’uomo diversamente dal passato, ma anche di ridefinire la politica al suo servizio, come arte che favorisce e governa il vivere insieme.
Meno confini, più soglie
Questa ritrovata centralità dell’uomo contesta una visione antropologica imperialistica, di un uomo più tentato ad assicurare e dominare spazi che a generare processi di inclusione e trasformazione.
La sfida è la riscoperta del soggetto rimesso in una rete di legami e non solo considerato nella pura assolutezza del singolo! Essa va di pari passo con la questione dell’identità, che alla luce dell’ospitalità deve declinarsi in rapporto all’alterità: non esiste una relazione equilibrata con sé stessi senza relazione all’altro, dove i confini diventano «soglie da attraversare», zone di transizione e premessa di un incontro arricchente tra diversità.
Abbiamo bisogno di cosmopolis, di luoghi in cui si sia sensibili alla diversità culturale, in cui si lotti contro ogni forma di discriminazione (cf. L. Sandercock, Verso cosmopolis. Città multiculturali e pianificazione urbana, Dedalo, Milano 2004).
Verso la verità dell’altro
Paradossalmente un tempo di crisi come il nostro può diventare fecondo se questa crisi diventa inclinazione al cambiamento. La politica può ritrovare qui la sua missione, tornando a occuparsi del bisogno dell’altro e affermando il primato della relazione, come unico modo per contrastare sia il relativismo secolaristico che quello fondamentalistico.
Questi ultimi sono entrambi figli dell’idea gnostica che nega il rapporto tra fatti e principi: una risposta semplicistica di fronte alla sfida del multiculturalismo e del pluralismo religioso.
In una prospettiva ospitale invece, il soggetto è orientato alla ricerca della verità intesa come un dono che lo precede e, contemporaneamente, come orizzonte della promessa che non gli sarà preclusa, nella misura in cui sarà capace d’immedesimarsi con essa, anche a costo di contestare l’ambiente culturale in cui si muove.
Del resto le culture stesse s’incontrano proprio nella loro «dinamica esodica», ossia nella loro tensione a uscire dal particolare verso la verità universale, in cui l’uomo riconosce e realizza la sua apertura al tutto e al trascendente.
Chi attraversa questa soglia non giunge semplicemente in altro luogo, ma diviene un altro.