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Moralia Blog

Contro la violenza, il dialogo: non tolleranza ma incontro

Dopo gli attentati avvenuti nel corso di questa estate – ricordiamo quelli dello stesso tragico venerdì 26 giugno in Francia, Somalia, Tunisia e Kuwait – quale può essere la reazione della società civile e della riflessione filosofica, oltre quella diplomatica e militare?

Una risposta culturale

Anche se può apparire difficile – e non in grado di dare immediatamente soluzione al problema – l’unica possibile risposta resta quella del dialogo, ovvero la relazione a più voci per mettere in comunicazione soggetti differenti. È il suggerimento di Martin Heidegger e Hans-Georg Gadamer, padri fondatori dell’ermeneutica come realtà fondamentale dell’uomo visto come essere storico e linguistico. L’essere dell’uomo, infatti, si spiega a partire dalla sua storia, dalla narrazione e interpretazione di questa storia.

Ecco, dunque, che la verità dell’io deve riconoscere l’esistenza di altri soggetti con cui entra in una relazione che può essere di scontro o di dialogo.

Da un lato abbiamo la risposta intollerante, violenta e negatrice di ogni altra realtà, tipica dei movimenti religiosi e politici simili all’ISIS e alle varie destre europee, che rifiutano l’incontro con tradizioni culturali diverse dalla propria. Ma, d’altra parte, l’identità dell’individuo e della civiltà si afferma e si modifica nel confronto con l’altro, non soltanto nella prospettiva del rispetto della diversità, quanto soprattutto in quella del rispetto dell’identità di ogni individuo e di ogni gruppo sociale. La civiltà del dialogo e della comprensione non si basa cioè solo sulla tolleranza illuministica di Voltaire, ma sul rispetto dell’altro, in quanto io-persona, più che straniero e diverso.

Non la tolleranza, dunque, ma l’incontro con altri uomini, portatori di un vissuto storico e linguistico altrettanto legittimo.

Per una civiltà dell’incontro

Così l’ermeneutica filosofica pone le basi per una filosofia del dialogo tesa a superare l’assolutismo conoscitivo e l’ideologia del fanatismo. Nel campo cattolico, autorevole esponente della civiltà del dialogo è stato il compianto papa Giovanni Paolo II, che volle incontrare ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni del mondo.

Purtroppo quel momento di dialogo ecumenico sembra spazzato via dagli ultimi avvenimenti, ma ciò non ne sminuisce certo l’importanza. Oggi il card. Angelo Scola ribadisce la necessità del dialogo ecumenico fra varie aree culturali, anche all’interno dell’Occidente. La società civile è un sistema di relazioni e uno spazio di dialogo, dove realizzare il riconoscimento reciproco tra persone e comunità.

Non imporre la propria verità con la violenza ma con la testimonianza, il dialogo e la relazione pacifica con l’altro, senza venir meno alle proprie idee ma proponendole democraticamente e non violentemente. Solo se questo sistema di relazioni civili e democratiche sarà alla base della società e delle sue istituzioni educative come la famiglia e la scuola, ci sarà la civiltà del dialogo e dell’incontro, non la civiltà della violenza.

Commenti

  • 21/09/2015 granesedonenzo@tiscali.it
    Nel leggere l'articolo della Rossi, mi sembra che occorre tradurre in regole di comportamento quello che lei mette in evidenza partendo dalla giustizia. Il suo anelito si fa sempre più forte. Anche se poi nei fatti, soprattutto quando sono in gioco gli interessi personali o del gruppo, sovente prevale l'egoismo e si è disposti a tacere di fronte all’ingiustizia, da chiunque essa provenga. Invece, essa deve aiutare ad osservare le norme etiche, tradotte in regole del vivere civile, non solo ai responsabili della cosa pubblica, ma a tutti i cittadini. Per la semplice ragione che se mancano chiare e legittime regole di convivenza, oppure se queste non sono applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l’arbitrio sul diritto, con la conseguenza che la libertà è messa a rischio fino a scomparire. Ecco perché una giustizia a misura d’uomo esige di essere purificata con gli orizzonti della fede affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale. Però, è indispensabile un impegno sincero per evitare che si faccia consistere la giustizia nella mera osservanza formale delle regole stabilite . Certo anche questa osservanza formale ci vuole, ma le regole, da sole, non potranno mai bastare a creare una società veramente giusta. Se ciò fosse vero, basterebbe soltanto una gestione oculata dell’economia e della pubblica amministrazione a rendere la vita sociale più umana. Invece, l’osservanza delle regole non è che il primo scalino, il primo passo, in quanto se manca la tensione etica, non c’è convivenza umana. La giustizia deve significare partecipazione sentita al farsi storico di questo trincio a tutti i livelli. L’apertura a tale valore deve portare ad una appassionata lettura critica dei fatti, verificando con cura se ciò che è sancito come giusto è effettivamente tale. Occorre stare attenti se vengono colte tutte le possibilità per rapporti e strutture più giuste, superando gli egoismi che scaturiscono per vari motivi ed aprirsi ad una mondialità sempre più convinta. Infatti, rimane sempre vero che la più grande risorsa umana è l’uomo stesso e che anche la legge è fatta per lui e non viceversa. Dunque la giustizia non può essere intesa soltanto in senso formale, e neppure in senso meramente negativo, come rifiuto di criminalità, come condanna degli amministratori disonesti e dei politici collusi, ma, anche, nella capacità di cambiare i cuori . La legalità è soprattutto un concetto e un valore positivo e va intesa come responsabilità del proprio dovere, come cultura della reciprocità, come consapevolezza che ogni comportamento personale, oltre alle implicazioni morali, ha sempre una ricaduta sociale negativa o positiva. Sac. Enzo Granese, Castelfranci (Av), Arcidiocesi di Sant'Angelo del Lomb.- Conza - Nusco - Bisaccia

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