Clonare Leonardo. Domande sull’intelligenza artificiale
Cinquecento anni fa ad Amboise, in Francia, moriva Leonardo da Vinci, uno dei geni indiscussi della storia dell’umanità e della nostra storia patria.
I suoi capolavori hanno riempito le cronache di ogni tempo, come nel caso del rocambolesco rapimento della Gioconda. Le cronache di oggi ci raccontano invece di falsi clamorosi: tra gli ultimi la «Bella principessa», firmata da un molto meno noto Shaun Greenalgh, accreditato falsario inglese.
Quel che occhio umano non vede…
Altre volte un falso leonardesco arriva a valere anche milioni di euro. L’avvento delle tecnologie digitali permette oggi di stabilire con maggiore precisione e affidabilità quando un quadro è vero e quando è falso: all’occhio del critico si affianca anche l’occhio artificiale, oltre alla memoria sterminata della rete che permette in tempo reale di fare confronti e svelare raggiri, e alcuni studi vanno proprio in questa direzione.
L’intelligenza artificiale però non è solo capace di scovare un falso, è perfettamente in grado di crearne uno, anzi, di creare un oggetto del tutto autentico rispetto al concetto che comunemente abbiamo di copia o falso ma, allo stesso tempo, del tutto falso se lo attribuissimo a un certo autore.
Un progetto che ha impegnato Microsoft, l’Università di Delft e il Rembrandt House Museum di Amsterdam ha creato dal nulla un Rembrandt che Rembrandt non ha mai dipinto. L’oggetto è stato «dipinto» utilizzando una stampante 3D che ha garantito profondità e stratificazione del colore le più vicine possibile allo stile e al modo di dipingere del maestro.
Il risultato, chiamato The Next Rembrandt, è certamente stupefacente. Al punto che di fatto ci manca un termine tecnico per definire un quadro che non è un’opera d’arte, anche se lo è in tutti i canoni estetici che finora abbiamo utilizzato per dare tale definizione.
Tecnologia ed eticità: a un bivio
Questo gioco tecnologico, che ha già qualche anno, ci mette di fronte a un’altra delle sfide morali della rivoluzione digitale: il concetto di autenticità, la soglia di affidabilità della realtà così come si palesa, ciò che possiamo o non possiamo più definire come originale e genuino e la tutela della personalità e il valore della soggettività.
La tecnologia, così come crea tali artefatti, può essere utilizzata anche per scovarli, ma la questione diventa per noi più sottile e determinante se ci spostiamo sul piano dei principi, non accettando che ciò che si può tecnicamente fare sia immediatamente etico, buono e giusto.
La linea di confine che abbiamo tracciato sino a oggi è quella della vita, per cui clonare esseri viventi lo consideriamo non accettabile. Ma viste le evidenze, esiste un nuovo confine da individuare che riguarda anche le manifestazioni più essenziali della vita, come il talento artistico, ciò che ha reso unico nel mondo una persona, tanto quanto il suo corpo fisico o forse più del suo corpo? Clonare l’intelligenza di Leonardo e far dipingere a una macchina un Giocondo vìola la dignità del Maestro?
Rispondere a queste domande ci aiuterebbe a uscire dalla mentalità per cui l’innovazione digitale o più in generale quella tecnologica sia di per sé neutra, se non sempre buona, e a dover essere controllato sia sempre e solo l’uso dei mezzi. Il diritto d’autore prevede l’esistenza di un diritto morale o della personalità che assicura delle tutele automatiche, dei diritti di cui neppure l’autore stesso può disporre.
L’ordinamento giuridico, che fa suo il criterio personalistico, ci può così aiutare a dare alcune prime risposte, o perlomeno ad abbozzare un ragionamento che lavori sul concetto di personalità che economicamente è inalienabile e digitalmente dovrebbe essere forse inammissibile.
Luca Peyron* è presbitero della diocesi di Torino, docente di teologia all’Università cattolica di Milano e autore di Elogio della generosità (Elledici 2018) e Incarnazione digitale (Elledici 2019).