Chiesa e unioni civili: un tema da affrontare
Nel marzo 2012, in una piccola parrocchia dell’Arcidiocesi di Vienna, un giovane omosessuale di ventisei anni, unito civilmente con il proprio partner, viene eletto a grande maggioranza membro del consiglio parrocchiale. A elezione avvenuta, il parroco del luogo si rifiuta di accettare l’esito della votazione e rivela che il vescovo, il card. Schönborn, gli aveva già chiesto di non accettare la candidatura di questa persona, ma che una parte significativa della parrocchia si era opposta a una simile eventualità.
Messo al corrente della situazione, Schönborn decide di incontrare il consigliere pastorale e il suo compagno, invitandoli a pranzo. Colpito dalla fede e dall’umiltà del giovane e riconoscendone il sincero desiderio di servire la Chiesa, il card. decide di non intervenire per invalidare l’elezione. Una decisione che il parroco della comunità, invece, si ostina a non accogliere, preferendo il trasferimento in un’altra parrocchia.
Il caso italiano
Lo scorso giugno, un caso simile è successo anche in Italia, nella diocesi di Gorizia. Un capo scout si unisce civilmente al suo compagno e il fatto scatena la reazione del parroco; a suo giudizio, le condizioni perché il giovane continui a svolgere il proprio servizio educativo sono cessate. Prende così avvio un dibattito controverso, che divide la comunità locale, ma che coinvolge anche l’AGESCI.
Dopo qualche settimana, l’arcivescovo della città, mons. Redaelli, interviene con una lettera,1 nella quale, ispirandosi a uno scritto del card. Martini,2 formula
«l’invito a riflettere sul vissuto con la guida dello Spirito Santo, senza pretendere di avere dalla Scrittura o dalla tradizione canonica la risposta pronta per ogni circostanza, ma cogliendo gli aspetti di grazia in ogni avvenimento, vedendo poi come ogni nuova realtà interpella la fede e, infine, riuscendo a trovare soluzioni pratiche che garantiscano la comunione nella fedeltà al messaggio evangelico».
Le parole e lo stile dei due vescovi, Schönborn e Redaelli, possono indicare una via da seguire in casi simili. Ormai in un numero sempre maggiore di Paesi le unioni civili tra partner omosessuali sono consentite per legge; realisticamente c’è quindi da aspettarsi che situazioni come quelle menzionate siano destinate a crescere di numero.
Seguire l’esempio
Per questo, la prima cosa da fare è quella di cercare l’incontro e il colloquio personale, condizione indispensabile per intraprendere un cammino di discernimento. Da tener in vista è anzitutto la fede personale dell’interlocutore, il suo desiderio di servire Dio e gli uomini nella Chiesa, il bene della comunità nella quale svolge il proprio compito pastorale o educativo e il bene della Chiesa stessa.
La Conferenza episcopale tedesca, che nel 2015 ha rivisto le norme che regolano i rapporti di lavoro dei propri dipendenti, ha sottolineato la necessità di distinguere il “grado di lealtà” richiesto alle singole persone, ammettendo la possibilità che esso possa differire a seconda dei vari tipi di servizio ecclesiastico svolto.
Senza precisare ulteriormente a quali requisiti attenersi nell’identificazione dei vari gradi di lealtà, i vescovi tedeschi ricordano che alle persone impegnate nella catechesi o in altri incarichi che prevedono un esplicito mandato del vescovo si richiede naturalmente un grado più alto di lealtà; in casi come questi, infatti, una forma di vita non corrispondente alla dottrina morale della Chiesa potrebbe avere conseguenze negative sulla credibilità della Chiesa stessa.
Le considerazioni qui solo brevemente esposte, evidentemente, ci suggeriscono che come Chiesa stiamo compiendo i primi passi di un percorso tutt’altro che concluso. Restano di fondamentale importanza il richiamo ad astenersi da giudizi morali che colpiscano indiscriminatamente le persone omosessuali, così come l’invito a discernere con attenzione e delicatezza motivazioni e comportamenti relativi alla loro forma di vita; è altrettanto doveroso, tuttavia, che le comunità cristiane continuino a interrogarsi sulle scelte da compiere per non lasciare ai margini queste persone, dando loro la possibilità di mettere a frutto i doni e i talenti ricevuti come ogni altro credente per la vita del mondo e della Chiesa.
1 Alla lettera del vescovo Redaelli, il parroco del luogo ha risposto pubblicamente con un proprio scritto nel quale espone i propri dubbi e chiede che le indicazioni dell’Ordinario siano meglio precisate anche in vista di una prassi comune tra i pastori.
2 Cf. C. M. Martini, Cristiani coraggiosi. Laici testimoni nel mondo di oggi, In dialogo, Milano 2017, 123-124.