Big Data: sulle frontiere del progresso tecnico-scientifico
Con questo post vogliamo iniziare un approfondimento su un tema assai complesso che sta cambiando radicalmente il panorama tecno-scientifico.
L’Occidente nella sua storia ha educato la propria mente a considerare l’universo in termini di unità di misura minime, pensando spesso la quantificazione in forma di linee, quadrati, cerchi e altre figure simmetriche. Recentemente il processo di quantificazione, in seguito al diffondersi delle tecnologie digitali e dell’informatica, ha portato a un nuovo esito: la rivoluzione digitale.
L’avvento del digitale ha trasformato definitivamente la realtà in dati numerici, cambiando ulteriormente la nostra conoscenza. Parafrasando Chris Anderson, direttore di Wired, possiamo tratteggiare i contorni della rivoluzione digitale nel mondo scientifico: gli scienziati hanno sempre contato su ipotesi ed esprimenti, mentre oggi di fronte alla disponibilità di enormi quantità di dati questo approccio – ipotesi, modello teorico e test – diventa obsoleto. C’è ora una via migliore. I petabyte ci consentono di dire: “La correlazione è sufficiente”. Possiamo smettere di cercare modelli teorici inviando i numeri nel più grande cluster di computer che il mondo abbia mai visto, e lasciare che algoritmi statistici trovino modelli dove la scienza non può.
L’opportunità è grande: la nuova disponibilità di un’enorme quantità di dati, unita con gli strumenti statistici per elaborarli, offre una modalità completamente nuova per capire il mondo. La correlazione soppianta la causalità e le scienze possono avanzare addirittura senza modelli teorici coerenti, teorie unificate o una qualche tipo di spiegazione meccanicistica. Di fatto si assiste alla tendenza generale di affidare decisioni, anche in ambiti critici della vita umana, a macchine sempre più sofisticate.
L’uso pervasivo di questi strumenti di calcolo ha notevole influenza anche sul modo in cui vengono percepite le macchine, cioè quegli artefatti tecnologici dotati di un certo grado di autonomia: si assiste al sorgere nella coscienza collettiva di un affidamento fiduciale e sempre più incondizionato alle analisi fatte dagli strumenti automatici.
La rivoluzione digitale ci ha convinto che con un computer possiamo trasformare quasi tutti i problemi umani in statistiche, grafici, equazioni. La cosa davvero inquietante, però, è che così facendo creiamo l’illusione che questi problemi siano risolvibili con i computer.
Dal mondo della scienza la rivoluzione digitale aggredisce anche le aree tradizionali del sapere quali la filosofia e l’etica. Oggi si vuole utilizzare la teoria dei giochi, una tecnica matematico-algoritmica altamente sofisticata, per far luce su delicati aspetti della psicologia umana, come l’altruismo, la competizione, la politica.
Grazie alla quantificazione e ai calcoli offerti dagli algoritmi, la logica dimostra che la strategia più razionale consiste nel comportarsi in maniera irrazionale e insinua che affidarsi alla regola d’oro del Vangelo («Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro» Mt 7,12) porta al fallimento. I numeri, i calcoli e gli algoritmi sembrano oggi l’unica via per raggiungere ciò che chiamiamo “saggezza”.
Certo algoritmi e quantificazione della realtà ci permettono un grande potere e ci hanno fatto ottenere grandi risultati con enormi benefici nelle nostre vite, tuttavia mai come oggi bisogna ricordarci che essere uomini non si fonda solo sulla quantità ma su quell’arduo e mai esaurito compito di cercare il senso dell’esistere: una questione prettamente di qualità.
Il tema è ampio e apre nuovi scenari su cui riflettere su cui conteremo di tornare in futuro.