Avvento e Natale: la salvezza sta nello sguardo
«Avvento» deriva etimologicamente dal latino ad-ventus. Era un termine tecnico, normalmente utilizzato per indicare la visita di un funzionario, del re o dell’imperatore in una provincia romana. Poteva, altresì, indicare la venuta della divinità: il suo uscire dal suo nascondimento per manifestarsi con potenza, oppure il suo essere presente nel culto.
In senso pieno possiamo recuperare l’etimologia del termine: Gesù è il Re che fa visita (o meglio: abita) in una provincia romana e mostra la potenza di Dio. L’Avvento e il Natale erano – e ancora sono – una tensione tra visibile e invisibile. Che sguardo dobbiamo avere?
Strabico, ma risanato
Questo tempo liturgico che stiamo vivendo (e vivremo tra poco) – Avvento, Natale, Epifania – ci costringe a uno sguardo un po’ strabico.
Un occhio è rivolto al passato, all’incarnazione del Logos nel bambino di Betlemme; l’altro occhio è invitato a guardare verso il futuro di Dio. in attesa del compimento promesso. Lo strabismo, però, viene in qualche modo sanato: nell’Epifania gli occhi convergono nell’invito a riconoscere i segni della manifestazione del Signore in mezzo a noi.
Spesso sono segni nascosti, discreti, ordinari, non appariscenti, come un bambino in braccio a sua madre. A Nazaret. O sulle nostre coste. In un qualsiasi campo profughi.
Uno sguardo di fede incarnata che investe il nostro agire morale
Possiamo attendere e sperare in senso passivo: lasciando che gli eventi si susseguano, subendo, facendoci vivere da essi, al più reagendo minimamente a quanto accade attorno e in noi. Sbuffando, tutt’al più.
Possiamo, al contrario, attendere e sperare in senso attivo: inserendoci in questo tempo di Avvento ogni giorno, con lo sguardo vigile, risanato, di chi sa stare nella tensione tra il «già» e il «non ancora», discernendo la presenza di quel Dio che è visibile e invisibile nel contempo. Attendere e sperare in senso attivo sono gesti di attenzione, di consenso, di assenso, un sì detto non a un futuro di cui pretendiamo di conoscere il contenuto, ma allo sposo di cui amiamo il volto.
Non si tratta quindi di un semplice sguardo di fede, ma di uno sguardo di fede che sa formare il nostro sguardo morale, il nostro sforzo di comprendere il bene e il male, per poterli affrontare nel quotidiano. C’è chi scruta il cielo mentre i propri piedi non hanno più alcun contatto con la terra: cerca Dio, ignorando i fratelli, la storia. Chi, al contrario, è talmente impastato nella sua zolla di terra da imbrigliare Dio nei propri limiti. Nei propri obiettivi.
In questa prospettiva di fede lo sguardo morale non procede soltanto dal presente verso il futuro, ma anche – anzi, soprattutto! – dal futuro verso il presente. Il futuro promesso da Dio – di cui siamo certi poiché il suo compimento ci è stato già garantito nella Pasqua di Gesù – è in grado di rischiarare il nostro oggi, per quanto possa essere ancora avvolto nell’oscurità di una notte.
Come lo sguardo dei Magi
Come i Magi, allora, siamo invitati a metterci in viaggio, su sentieri nuovi di senso, per cercare, riconoscere, accogliere, adorare il rivelarsi di Dio in mezzo a noi, nelle pieghe della storia e del quotidiano, dentro le quali anche il più piccolo dei semi porterà il suo frutto abbondante.
E per farlo abbiamo bisogno che nel nostro sguardo convergano quei due occhi divergenti: l’uno che attinge alla memoria del passato, come un sapiente custode; l’altro che scruta i segni del futuro, come una sentinella vigilante, capaci infine di ricomporsi in uno sguardo sanato sul presente.
Per dirla con Martin Buber: si tratta di introiettare uno sguardo da «profeta come di colui che tiene lo sguardo fisso verso il Dio che viene». O per dirla con Simone Weil:
«Una delle verità capitali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è che la salvezza sta nello sguardo. … Lo sforzo grazie al quale l’anima si salva è simile a quello di colui che guarda, di colui che ascolta, a quello di una sposa che dice sì. È un atto di attenzione, di consenso … Con uno sforzo muscolare il contadino strappa le erbacce, ma soltanto il sole e l’acqua fanno spuntare il grano».
Tempo di Avvento, Tempo di Natale come momenti liturgici e come questione di sguardo morale: invitano ad allenarci a diventare profeti nel discernimento tra bene e male, profeti di giustizia, di temperanza, di fortezza e di prudenza nel nostro piccolo e grande quotidiano.