Assisi 2016: solo la pace è santa
La celebrazione del trentennale dell’incontro per la pace di Assisi tenutasi dal 18 al 20 settembre 2016 ci pone di fronte a un interrogativo: si è trattato di una doverosa operazione di omaggio a un evento certamente straordinario o di una reale attualizzazione dello “spirito di Assisi”, resa necessaria dai nuovi “segni dei tempi”? Che si tratti del secondo caso lo testimoniano segni e parole.
Segni. Meritano di esserne citati almeno due, fra i molti. Innanzitutto il pranzo, che accanto a una serie di ospiti rappresentativi ha visto sedere a mensa con papa Francesco 25 rifugiati sfuggiti alle guerre e ai disordini del Medio Oriente e dell’Africa, a sottolineare dove sorgono oggi le minacce più evidenti alla pace, ma anche a indicare l’atteggiamento di concreta ospitalità che deve animare gli uomini e le donne delle religioni del mondo.
E in secondo luogo la preghiera ecumenica nella Basilica inferiore di San Francesco, che ha rinnovato la convergenza tra le Chiese cristiane sull’esigenza di un’etica planetaria, accompagnata da una non scontata spiritualità ecumenica. A questa preghiera si sono affiancate, in luoghi diversi del Sacro convento e di Assisi, quelle della comunità religiose convenute.
Meritano di essere citate le parole di papa Francesco: «Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia (...) abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri». “Accanto”, ma anche “per”, dove la preposizione dice una connessione nella preghiera, una richiesta a Dio a favore dell’altro e della sua convergente azione per la pace.
Parole. In particolare ci concentriamo su quelle pronunciate da papa Francesco nella meditazione tenuta durante la preghiera ecumenica e nel discorso pomeridiano.
La breve meditazione si è concentrata sui due cardini della sete e dell’amore. Letti da Francesco allo stesso tempo in chiave cristologica ed etica. Domanda e risposta, potremmo dire.
Alla sete di Gesù sulla croce si dà ristoro attraverso il servizio ai poveri, alla sete di Dio si risponde con l’amore per gli esseri umani: «Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui». Ma non è mancata nelle parole del papa la constatazione che lo stesso messaggio dell’amore trova difficoltà a farsi ascoltare: «L’amore non è amato».
Alla sete risponde l’indifferenza: un tema che papa Bergoglio riprenderà nel discorso pomeridiano, evocando la suggestiva espressione di paganesimo dell’indifferenza: «Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace: non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell’animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai fratelli. Dio ce lo chiede, esortandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza». Il paganesimo di oggi è la chiusura nel proprio, privato o nazionale che sia, a cui viene contrapposto il movimento dell’uscire, dell’andare verso l’altro.
Infine, il rinnovato invito a diventare operatori di pace, ripreso nell’appello firmato da tutti i convenuti: «Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».
La santità della pace contro l’empietà della guerra: l’affermazione merita di essere ripresa e approfondita nelle sue valenze pratiche, ma anche in relazione all’elaborazione di un pensiero teologico e morale all’altezza delle sfide odierne. Se solo la pace è santa e mai la guerra, oggi, in un tempo in cui, purtroppo, l’idea di una o più guerre sante torna ad albergare nella coscienza collettiva dell’umanità, si può continuare a pensare che vi sia una guerra “giusta”? Una guerra “giusta” che non sia “santa”? È un interrogativo alla riflessione che sembra balzare da Assisi.