Andare a messa e cambiare. Perché l’eucaristia ci attira
«L’eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione». Così parla dell’eucaristia Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est (n. 13). Sono parole decisive, perché reagiscono a un certo modo di considerare il mistero eucaristico che anche oggi, come in passato, rischia di non farne comprendere la portata autentica.
Oltre la semplice presenza
Non cogliamo la verità dell’eucaristia se rimaniamo a una comprensione «statica», che misconosce il senso della «presenza» del Logos incarnato nel mistero eucaristico. Del resto, conosciamo il sospetto tipicamente moderno riguardo all’idea di presenza, a cui Heidegger ha dato voce denunciando la riduzione dell’essere a «semplice presenza» (Vorhandenheit).
Non così va considerata la presenza di Cristo nel mistero eucaristico. Il suo esser-presente è il suo essere pro nobis, per noi, il suo esser-disponibile nella totalità sacramentale della sua vita alla comunione con il fedele: dono massimo, offerta continuamente attuale, coinvolgimento – come scrive Benedetto XVI – «nella dinamica della sua donazione».
La lavanda dei piedi
L’illustrazione evangelica più suggestiva di questa presenza la si trova nella lavanda dei piedi, raccontata dal quarto Vangelo.
È noto che Giovanni non narra l’istituzione dell’eucaristia, ma affida al racconto della lavanda dei piedi il compito di illustrarne il senso. Il Figlio di Dio si rivela «come colui che serve» (Lc 22,27). Lui, il Signore e il Maestro, si assume la mansione propria dello schiavo: in tal modo il testo giovanneo ci dice che il gesto del servizio è proprio di Dio, del Dio che Gesù rivela come Agape.
Un gesto che non è estemporaneo o isolato, ma costitutivo del suo essere. Un gesto che prelude all’offerta totale della croce, anch’essa riservata esclusivamente agli schiavi (servile supplicium). È questa la donazione in cui il mistero eucaristico ci «attira», per usare ancora le parole di Deus caritas est.
Dall’eucaristia alla testimonianza
Se veniamo attirati, nel mistero eucaristico, nell’atto oblativo di Gesù, la conseguenza rigorosa è che non se ne coglie la «verità» rimanendo semplicemente spettatori, guardando – magari con commossa ammirazione – al prodigio della transustanziazione.
Nella verità del gesto eucaristico è insita l’assunzione testimoniale del dono. Solo così, in fondo, si può parlare di «comunione». Di questo le prime generazioni cristiane erano perfettamente consapevoli, quando univano in modo indissociabile eucaristia e martirio.
Si pensi, per fare solo due esempi, alle Lettere di Ignazio di Antiochia o ad alcune omelie di Agostino nel suo Commento a Giovanni. Solo la totalità e l’immediatezza della presenza di Cristo nell’offerta di se stesso (eucaristia) può fondare la radicalità del dono che il cristiano è chiamato a fare della sua vita (martyria, martirio).
San Oscar Romero
Non è speculazione astratta, ma testimonianza viva, che continua anche oggi. L’arcivescovo Oscar Romero, recentemente canonizzato da papa Francesco, è stato ucciso il 24 marzo 1980 mentre stava celebrando l’eucaristia. Il suo sangue si è unito a quello versato da Cristo per noi. La sua vita offerta per il popolo è testimonianza eloquente alla verità dell’eucaristia.
La donazione eucaristica di Cristo «coinvolge» sempre di nuovo il discepolo nella dedizione di sé, nel servizio fino alla fine. È, a ben vedere, il senso ultimo dell’eucaristia e della vita morale.
Stefano Zamboni, sacerdote dehoniano, insegna Teologia morale all’Accademia Alfonsiana di Roma e alla Pontificia facoltà teologica Marianum. Tra i suoi volumi «Chiamati a seguire l’Agnello». Il martirio, compimento della vita morale (EDB, Bologna 2007); Libertà. Provocazioni bibliche (Paoline, Milano 2009); Teologia dell’amicizia (EDB, Bologna 2015).