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Moralia Blog

Amoris laetitia: vero magistero?

Fra gli innumerevoli commenti pubblicati a stretto giro dalla presentazione di Amoris laetitia, il documento firmato da papa Francesco a conclusione dei due recenti Sinodi sulla famiglia, quello del cardinale nordamericano R.L. Burke, noto per le sue idee ultraconservatrici, merita di essere ripreso per il suo carattere emblematico.

Preoccupato per gli effetti – a suo parere – dirompenti di un testo ingiustamente sbandierato dai media come «rivoluzionario», l’alto prelato, dopo averne precisato la «natura propria», ne ha offerto anche «l’unica chiave» interpretativa corretta. Il tutto a vantaggio dei fedeli, allarmati, confusi e a rischio di scandalo. Così, sul National Catholic Register, storico giornale cattolico USA, Burke ha sostenuto che l’Amoris laetitia «è un atto personale e non un esercizio del magistero papale». In sostanza: essendo solo «una riflessione personale del papa», la postsinodale va «ricevuta con il rispetto dovuto alla sua persona», senza esigere «la fede vincolante dovuta all’esercizio del magistero».

Rimando al bel contributo di S. Pié Ninot1 i lettori interessati ad approfondire l’argomento. Qui, invece, prevedendo che il tema risulti piuttosto oscuro ai più, vale la pena riassumere che cosa s’intende per «magistero».

Conviene far notare anzitutto che il termine «magistero» (derivato di magister, «maestro») può indicare sia l’«ufficio», sia l’«oggetto», sia il «soggetto» dell’insegnamento dei vescovi e del papa (nel Medioevo anche l’insegnamento dei teologi è detto magisterium). Saper distinguere fra questi tre differenti significati è quindi essenziale per evitare equivoci.

Ciò premesso, con le parole di Lumen gentium n. 25, possiamo dire che quanto all’«ufficio», il magistero svolge la funzione di «interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa [compito affidato alla Chiesa che lo esercita nel nome di Gesù Cristo]»; quanto all’«oggetto», il magistero non si esercita su qualsiasi materia, bensì solo sulla «fede da credere e da applicare nella pratica della vita» (in latino: fidem credendam et moribus applicandam, dove i mores indicano sia i costumi morali, come nell’uso più antico, sia la dottrina a essi relativa, come si è incominciato a pensare dal Medioevo in poi); quanto al «soggetto», infine, si tratta o di un singolo vescovo o del collegio dei vescovi in comunione col papa o del papa stesso, ovvero le figure cui spetta l’esercizio dell’autorità nella Chiesa.

Detto questo, sarebbe illusorio nascondersi la difficoltà più seria, che consiste nel fatto che oggi l’idea di obbedire a un magistero etico «altro» rispetto all’unico, insindacabile magistero della coscienza individuale, rasenta i confini dell’assurdo. La vera sfida allora, anche per i cristiani, è tornare a scommettere sul carattere comunitario della fede e della morale cristiana. Il clima, forse, sta tornando a essere più favorevole. Tuttavia, o si torna a immaginare e a vivere la Chiesa come comunità di memoria, di discernimento, di pensiero e, al contempo, di relazioni fraterne e solidali, o ci si dovrà rassegnare per molto tempo ancora alla sterilità disincantata di questi tempi. Del resto, non è forse al sogno di dare forma ecclesiale alla misericordia che papa Francesco ci sta incoraggiando a guardare?

Personalmente credo di sì. E lo sta facendo anche mediante un esercizio del magistero che si comprende come garante dell’unità della Chiesa proprio nella misura in cui sollecita la corresponsabilità di tutti nel pensiero e nell’azione. Come ogni realtà viva, infatti, l’unità della Chiesa, tutt’altro che statica, si rigenera nel comune ascolto della Parola, non nell’irrigidimento della dottrina e della disciplina.

 

 

1 Intitolato Di fronte all’insegnamento di Amoris laetitia. Magistero da accogliere e attuare, l’articolo è consultabile all’indirizzo www.osservatoreromano.va/it/news/sincero-accoglimento-e-attuazione-pratica.

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