Al volante: una zona franca dell'etica?

Tutti siamo utenti della strada: a piedi, in bici, alla guida. Ma quando siamo al volante ci sembra di trovarci in una zona franca dell’etica, mentre guidare ha importanti implicazioni morali. Si tratta di una pratica che mette a rischio la vita (propria e altrui), riguarda la salute (feriti e inquinamento), tocca le relazioni (le persone lungo la strada), mette in gioco lo stile di vita. Eppure i comportamenti in questo ambito non sembra vengano determinati dalla ricerca del bene, ma solo dal timore di controlli e sanzioni.
Le implicazioni etiche sono tante[1], ma sembrano fortemente sottovalutate, anche nell’ambito della comunità cristiana: un presbitero conta sulle dita i penitenti che in confessione si sono accusati di aver guidato imprudentemente o in condizioni fisiche non buone o con l’auto non in ordine:
«Eppure si tratta di comportamenti che espongono a gravi rischi la propria vita e quella degli altri, certo assai più della visione di un film sconveniente, cosa di cui ci si confessa molto più “naturalmente”, perché ci si sente maggiormente in colpa».[2]
Anche nella mia esperienza pluridecennale di omelie, catechesi e studi teologici non ho mai sentito trattare questo tema che tocca la vita umana, con i numeri impressionanti di morti (ogni anno circa 3.500 in Italia, 1.250.000 nel mondo) e feriti (250.000 nella penisola, 50.000.000 in tutto il pianeta).
Tre dimensioni
Focalizzo – tra i tanti - tre aspetti eticamente rilevanti: il linguaggio, le relazioni con gli altri, l’autoindulgenza. Tre elementi che non toccano direttamente la vita umana, ma che costituiscono un contesto che può promuovere o meno tale valore fondamentale, mettendo in gioco la libera responsabilità personale.
1) Parole e termini usati riguardano ad esempio due aspetti. Si pensi agli strumenti di controllo della velocità: normalmente sono definiti con termini negativi, come vessatori e persecutori; vengono quasi sempre ignorati (salvo frenare in modo pericoloso in prossimità degli autovelox), è spesso ritenuto normale aggirarli ed eluderli, anche con l’aiuto della tecnologia. Quando scattano le sanzioni si cercano tutti i cavilli giuridici per evitare la multa (e la perdita di punti): scelta giusta in caso di errore tecnico, scelta invece moralmente ipocrita se effettivamente si viaggiava oltre il limite. Eppure sono norme che mirano a tutelare le persone: con la velocità aumentano i rischi, l’inquinamento, il rumore. Ma il modo in cui parliamo di tali strumenti contribuisce a creare un ethos (negativo) condiviso nei loro confronti.
Il linguaggio entra in gioco anche quando si parla di “Strade killer” o si usano affermazioni come “La nebbia uccide”. Si tratta di mere mistificazioni: non sono una strada o un fenomeno atmosferico a uccidere, ma automobilisti killer che guidano senza tenere conto delle strada e delle condizioni meteo. Usare questi termini è un modo per ridurre la responsabilità delle persone, scaricando la colpa su fattori esterni, mentre sul piano etico è più corretto chiamare le cose col loro nome, come ricorda Giovanni Paolo II citando il profeta Isaia: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (EvV 58).
2) Nella guida (ma anche a piedi o in bici) entriamo in relazione con tante persone: lo facciamo in modo superficiale, anonimo, ma anche verso di loro dobbiamo domandarci se siamo il loro prossimo (cf. Lc 10, 36). Invece l’atteggiamento più frequente è l’indifferenza, ma non di rado scatta l’ostilità, la sfida, gli insulti, la rabbia. Al di là delle motivazioni (è esperienza di tutti vedere in strada comportamenti decisamente da censurare), è forte la negatività etica: l’ira di per sé è uno dei vizi capitali e credo sia superfluo commentare offese e insulti. Ma è anche importante considerare le conseguenze su chi in auto reagisce in questo modo a livello della cura dell’interiorità, dei propri sentimenti, delle relazioni che avrà nel corso della giornata con altri.
3) Davanti ai nostri errori poi siamo molto bravi ad essere tolleranti, a giustificarci: altra strategia per non assumerci la responsabilità delle nostre azioni. Proviamo a considerare gli errori degli altri con lo stesso metro con cui siamo indulgenti e comprensivi verso noi stessi.
Sono solo tre aspetti, che contribuiscono a mantenere scarsa la tensione morale su questo ambito di vita. Dovremmo invece ricordare che uno sguardo morale «vede le persone che lo “accompagnano” per strada ognuna con la propria vita, il desiderio di arrivare, e i propri problemi. Le vede tutte come fratelli e sorelle, figli di Dio»[3] e pratica quindi una guida prudente.
Perché guidare non è affatto, sul piano morale, terra di nessuno.
[1] Cf. M. Cerruti, Cambiare marcia. Per un’etica del traffico, Ed. Dehoniane, Bologna 2017; M. Cerruti, Guida, traffico, strade. Luoghi di relazione o terra di nessuno? Vivens Homo 27/2 (2016), 353-401.
[2] G. Salvini, Il traffico e le sue dimensioni morali, La Civiltà Cattolica 156 (2005), 556.
[3] Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e itineranti, Orientamenti per la pastorale della strada (24 maggio 2007), 61.