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Moralia Blog

A Natale il corpo è il messaggio

Mancano ormai solo pochi giorni al Natale, la festa che custodisce la memoria viva di quell’evento inaudito e scandaloso cui la fede cristiana, istruita dalle Scritture, dà il nome di «incarnazione». Il termine rinvia al prendere-carne della Parola che in origine era, che era verso Dio, che era Dio.

Mancano ormai solo pochi giorni al Natale, la festa che custodisce la memoria viva di quell’evento inaudito e scandaloso cui la fede cristiana, istruita dalle Scritture, dà il nome di «incarnazione». Il termine, lo sappiamo, rinvia al prendere-carne della Parola che in origine era, che era verso Dio, che era Dio (cf. Gv 1,1.14).

Evento che Marcello Neri, in un libricino quanto mai ispirato e prezioso, commenta così: «La Parola che è Dio imparò a sentire il suo essere-figlio negli spessori umani della carne; e a riconoscere il suo corpo come dimora di una relazione primordiale, per la quale non trovò altra nominazione se non quella dell’Abbà – affezione paterna del mistero insondabile di Dio».[1]

La Parola che è Dio imparò a sentire il suo essere-figlio sentendo al contempo il “limite” del corpo: del corpo patì la fame e la sete, avvertì la fatica, il peso, persino il dolore; ma mai disprezzò la condizione per cui il corpo lo educava all’umano, per essere il portatore del Dio della Vita (cf. Eb 5,8).

Il desiderio inenarrabile di Dio

«Dei corpi la Parola non ebbe mai timore»;[2] anzi, ne è stata cercatrice infaticabile – senza guardare al loro aspetto, persino senza ritegno verso i recinti angusti, chiusi, sbarrati, della religione e della morale. E ai corpi toccati, accarezzati, lavati, guariti, la Parola si è affidata, lasciando che fossero loro, senza nessun altro controllo, a portarla nelle città e in ogni altro luogo dell’umano vivere (cf. Mc 7,45).  

Sembra proprio che l’unica norma che Dio non trasgredisce, e sul rispetto della quale non transige, se c’è, sia questa: «Non si dà alcuna rappresentanza della Parola di Dio senza un incessante esercizio di apprendimento della condizione effettiva dell’umano cui essa è destinata».[3]

«Il corpo della Parola» – per dirla con Neri – «è il punto in cui Dio sente se stesso entrando in contatto con quello di ogni donna e ogni uomo che vengono al mondo. Il desiderio inenarrabile di Dio è proprio questo: che la Parola rimanga corpo di carne, l’unica possibilità che il Dio cristiano ha di essere presso di sé. La carne, con la sua fisicità, la sua opacità, il suo peso, è dimora di Dio: egli abita se stesso solo nella tenda dei corpi che siamo, così che essi possano dimorare in ogni momento, in ogni frangente, presso di lui».[4]

Dignità della corporeità umana: la sfida di celebrare il Natale nel tempo presente

Ecco il messaggio del Natale! Si tratta di una sfida, non di un’ovvietà. Una sfida di altissimo profilo etico, oltre che teologico. Come è stato intelligentemente scritto anche su questo blog, infatti, l’attuale cybercultura appare come governata dal sogno-realtà di una liquidazione del corporeo a vantaggio di un mondo sempre più fugace, astratto e virtuale.

Basti pensare alle narrazioni di un futuro post-umano, che attesti il superamento dei limiti, dei difetti, dei vincoli iscritti nella carne corporea degli umani; o alla dis-incarnazione del corporeo quotidianamente possibile mediante l’accesso agli spazi virtuali affollati di avatar; oppure, ancora, all’idea che la realtà tutta sia traducibile in dati immateriali universalmente accessibili, e che ciascuno sia collegabile con ciascuno e tutto con tutto in uno, entro una realtà tutta spirituale «che coinciderebbe più o meno con il regno di Dio, compreso – nota bene – un superamento lineare della morte, quindi una vita eterna, che consiste nell’estensione e nella conservazione digitale della mia esistenza mentale fino a questo momento.[5]

A fronte di qualsiasi forma di congedo dal limite e dal limitare del corpo, celebrare il Natale diventa un atto di resistenza: che la parola rimanga carne, che i corpi siano rispettati e amati, che la finitudine dell’umano non sia di scandalo, ma sia custodita come il bene più prezioso.

 

[1] M. Neri, La dimora ospitale. Riflessione teologica sull’incarnazione, EDB, Bologna 2012, 25.

[2] Ivi, 27.

[3] Ivi, 22.

[4] Ivi, 19.

[5] Cf. K. Müller, L’incarnazione al tempo delle cyberfilosofie, Regno-att. 20,2011,710.

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