L’Assemblea generale straordinaria della Conferenza episcopale italiana (CEI) che si è tenuta dal 22 al 25 novembre scorso ha di fatto avviato il cammino sinodale nazionale. Un’assemblea fluida, con meno tensioni anche nell’incontro col papa, che, se non ha prodotto particolari riflessioni, ha tuttavia fatto condividere ai vescovi il metodo di un confronto libero in piccoli gruppi, creando un tempo di sperimentazione in certo modo sinodale.
Il gioco per il Colle, come viene sintetizzata nella comunicazione l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, è, in questa nuova fase della vita del paese, l’evento politico più importante. In tale passaggio si gioca moltissimo del nostro futuro. Mario Draghi è arrivato alla guida del governo del paese un anno fa, non tanto o non solo sulla crisi da tempo conclamata della politica e del nostro sistema politico, ma sulla disfatta della classe politica, cioè sulla manifesta inadeguatezza dei leader politici di qualsiasi parte a governare l’emergenza pandemica ed economica, e più in generale a prospettare una visione di paese.
Un kairos, un evento storico, un punto di non ritorno; un segno profetico, un momento unico, non solo per il continente; un tempo propizio per il discernimento, un’esperienza di fede, una testimonianza concreta di sinodalità. Tutte queste espressioni sono state usate per definire la I Assemblea ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi, tenutasi dal 21 al 28 novembre scorso. La località prescelta è stata Città del Messico, per porre l’Assemblea ai piedi della Vergine di Guadalupe. Solo pochi hanno potuto partecipare in presenza, ma centinaia di persone si sono collegate via web, intervenendo attivamente.
Pastore oggi ottantaquattrenne della Chiesa metodista nell’Uruguay, Ademar Olivera ha dedicato la vita alla lotta per i diritti umani.
Una tregua, ma non la fine delle ostilità, nei rapporti tra papa Francesco e la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, e tra i vescovi e Joe Biden: questo il significato dei principali eventi ecclesiali tra fine ottobre e metà novembre. Il 29 ottobre l’udienza del secondo presidente cattolico degli USA col papa (cf. Regno-att. 18,2021,561) si è svolta in un’atmosfera molto cordiale, diversa da quella di Francesco col predecessore, Donald Trump, che nel maggio 2017 era arrivato in Vaticano avendo appena concluso in Medio Oriente la più lucrosa vendita di armi nella storia degli Stati Uniti.
La presentazione del Rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (CIASE) il 5 ottobre scorso (cf. Regno-att. 20, 2021, 552; Regno-doc. 19, 2021, 615) ha provocato molte reazioni sia in Francia sia Oltralpe, intrecciando piano civile ed ecclesiale. Avendo infatti allargato la portata dell’analisi a tutta la popolazione e paventando cifre piuttosto consistenti del fenomeno, il testo ha aperto un dibattito che ha portato a sensibili spaccature.
Daniele Garrone, pastore valdese, docente di Antico Testamento presso la Facoltà valdese di teologia di Roma, è il nuovo presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI). Lo abbiamo intervistato.
Oggi nessuno sostiene logiche di cosiddetto accanimento terapeutico e, come mai prima, siamo in grado di liberare il paziente dal dolore anche nelle fasi estreme di malattia. La legge n. 219/2017 esige, del resto, il consenso del paziente a qualsiasi trattamento sanitario, compresa la sua prosecuzione. Esige, inoltre, che siano assicurate sempre le cure palliative, che nei casi limitati in cui ciò sia necessario possono ricomprendere, in fase terminale, anche la sedazione profonda.
Diversi analisti hanno richiamato l’attenzione sull’attuale diffusione di una lettura cospirazionista della realtà. Per la verità si tratta di uno schema interpretativo degli eventi che ha una lunga storia: basta pensare all’accusa rivolta già nel primo secolo dai pagani ai cristiani di complottare per sostituire all’Impero romano un nuovo ordine politico e sociale. Ma non c’è dubbio che alcune recenti vicende hanno reso il fenomeno particolarmente appariscente, ampio e inquietante.
L’artista poliedrico Giovanni Scifoni ha incontrato il pubblico prima del suo ultimo spettacolo, Anche i santi hanno i brufoli.
Dal 2017 al 2021 la diocesi di Reggio Emilia-Guastalla ha dato vita a un particolare percorso d’accompagnamento dei moderatori per sostenere lo sviluppo delle unità pastorali (UP), avviato sulla base degli Orientamenti diocesani per le unità pastorali del 2015. L’obiettivo di questo investimento era duplice: offrire un sostegno diretto a coloro sui quali ricadeva il peso principale di questa iniziativa (cioè i moderatori) e creare un luogo sufficientemente stabile dove mettere a punto quadri concettuali di riferimento e linee d’azione per portare avanti il cantiere diocesano UP.
La condanna a 4 anni di carcere per sedizione e violazione delle regole anti-COVID comminata a Aung San Suu Kyi il 6 dicembre, è con ogni probabilità la prima di una serie che – con l’applicazione del massimo delle pene previste per gli altri capi d’imputazione – condannerebbe la settantaseienne icona della lotta nonviolenta contro la dittatura militare e premio Nobel per la pace a oltre un secolo di prigionia. Con lei è stato condannato anche l’ex presidente Win Myint, ma a giudizio si trovano una cinquantina di esponenti della Lega nazionale per la democrazia e in pratica l’intera classe di governo pre-golpe.
Riuscirà l’Etiopia a mantenersi unita? Ce la farà nel delicato compito di non sfaldarsi? Sono queste le domande che si pongono gli analisti a 13 mesi dall’inizio della guerra che contrappone il governo federale guidato da Abiy Ahmed e le milizie legate al Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF), la regione settentrionale del paese (cf. Regno-att. 22,2020,698; 14,2021,455).
C’è una blogger torinese (forse la decana della blogosfera cattolica italiana) che ha più volte detto e scritto di stare scrupolosamente tenendo – già dalla Candelora del 2020! – un «diario della pandemia»: a quanti le chiedevano donde avesse tratto un’idea tanto bizzarra rispondeva di non essere affatto l’unica, e che anzi in Nordamerica il genere si diffondeva significativamente.
Attore, autore e regista, come recita la sua biografia in terza di copertina. Ma anche content creator e influencer, per gli amanti degli inglesismi e dei linguaggi social. Tutto questo è Giovanni Scifoni (cf. in questo numero a p. 701), in libreria dallo scorso maggio con Senza offendere nessuno, un libro che racconta come la nostra società ci chieda ogni giorno di schierarci di fronte a qualsiasi questione, sia essa etica o politica.
A Urbino, sua terra natale, don Italo Mancini tornò da Milano nel 1959, chiamato da Carlo Bo, per insegnare, nell’allora Libera università, dapprima Storia del cristianesimo nella Facoltà di lettere e filosofia e successivamente Filosofia della religione nella Facoltà di magistero. L’esperienza milanese era stata decisiva per la sua formazione: si era trasferito nella capitale lombarda – appena ordinato sacerdote – alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, vincitore di una borsa di studio all’Università cattolica del Sacro Cuore.
Tra i metodi migliori per comprendere un filosofo c’è senz’altro quello di leggerne la storia attraverso la descrizione di chi è su posizioni diametralmente opposte. Questo è il pregio della biografia di Marx redatta da Isaiah Berlin, pubblicata per la prima volta nel 1939, e ora riedita da Adelphi dopo che era stata pubblicata diverse volte durante la vita dell’autore.
Il dolore può distruggere oppure no. Non c’è una regola scritta e non c’è giudizio se dalla voragine in cui ci precipita la morte improvvisa di chi amiamo non riusciamo a vedere la luce. Però ci sono dei percorsi che ci possono accompagnare con discrezione, misura, umanità.
Celeste, ebrea romana, tanto bella da essere chiamata «Stella del ghetto»; Elena, tedesca nata nella Slesia, cresciuta in ambito luterano: Celeste Di Porto ed Elena Hoehn, entrambe si convertirono al cattolicesimo, entrambe si conobbero nel carcere delle Mantellate nel giugno del 1946, entrambe collaborarono come spie con i nazisti, la prima mandando a morte qualche decina di ebrei, la seconda facendo cadere in trappola una rete di oppositori all’esercito tedesco.
La voce dei «fuoriusciti» è sempre «di parte». Tanto più quando questi patiscono ingiustizie e, a maggior ragione, violenze fisiche, psichiche o spirituali. E il libro del giornalista Ferruccio Pinotti, che ha condotto un’ampia inchiesta, accedendo a fonti in alcuni casi inedite, dà loro voce. Molte le questioni anche provocatorie che il testo solleva.
Pochi sentimenti hanno subito un’interdizione così radicale come quella riservata alla rabbia. Troppo facilmente apparentata all’odio, altrettanto facilmente considerata prossima alla violenza, la rabbia è stata progressivamente squalificata, spinta ai margini del discorso pubblico. Estromessa, privata di legittimità, essa oggi non sembra avere diritto di cittadinanza nell’agone politico.
Una vita tra due secoli, «anzi, tra due ere della civiltà della donna». Un percorso, dal 1882 al 1952, faticoso e ricco di conquiste. Armida Barelli nacque quando le ragazze «non uscivano da sole, né a capo scoperto, non studiavano nelle scuole maschili, non partecipavano alla vita pubblica, e morì quando le donne, anche giovanissime, godevano di piena libertà» (3). Il lavoro di Maria Sticco (1891-1984), collaboratrice della Barelli, apprezzabile per l’attenzione alle fonti e ai documenti e per la passione che lo anima, ci restituisce in questa nuova edizione una figura d’alto profilo ecclesiale, religioso, sociale.
Il libro ricostruisce con le parole (certamente) risentite dell’interessato la pressione con cui l’OMS e la struttura che s’interfacciava con il Governo italiano ha tentato in molti modi di spingerlo al silenzio, isolandolo, accusandolo d’aver mentito, invocando l’immunità e il segreto d’ufficio che un funzionario dell’OMS è tenuto a osservare di fronte a due richieste di comparizione della magistratura bergamasca.
Nel volume L’incerta fede il docente emerito dell’Università Roma Tre raccoglie un’ingente quantità di materiale proveniente da studi precedenti condotti in Europa e nel mondo oltre che in Italia, e apre una riflessione su alcune dicotomie che accompagnano l’esistenza di ognuno di noi: la felicità e il dolore; la vita e la morte; la preghiera e l’istituzione religiosa; la rappresentazione di Dio e papa Francesco.
Il morire come «resa piena e definitiva della creatura umana all’amore di Dio»; l’oscurità infernale come una prospettiva sulla quale egli «non ha mai chiuso il sipario finale». La ricchezza del magistero del card. Carlo Maria Martini, che a nove anni dalla morte continuiamo a considerare «un padre della Chiesa» (cf. Regno-att. 16,2012,510), si riverbera anche nelle sue parole sulla morte e sull’inferno, ampiamente esplorate da due saggi di Giovanni Giudici e di Gianfranco Ravasi tratti dal volume La settima stanza del cardinale (cf. riquadro a p. 728). Il testo del card. Ravasi, che commenta un brano di Martini a proposito dell’inferno tratto dalle Conversazioni notturne a Gerusalemme, attinge a numerose altre pagine dell’arcivescovo di Milano sul tema, mostrandone la grande coerenza interna. In quello di mons. Giudici, che origina da un passo della Cattedra dei non credenti, sono presenti anche eloquenti tratti biografici, a partire da un «Dio si è dimenticato di me» mormorato da Martini pochi mesi prima di morire. Nello stesso testo, nonché nel riquadro di Gianfranco Brunelli a p. 732, compaiono anche riferimenti agli incontri cui il card. Martini partecipava a San Gallo, assai diversi dalle «tesi complottarde» talora reiterate nella pubblicistica tradizionalista.