L’eredità del cardinale: Martini e la notte oscura
Il morire come «resa piena e definitiva della creatura umana all’amore di Dio»; l’oscurità infernale come una prospettiva sulla quale egli «non ha mai chiuso il sipario finale». La ricchezza del magistero del card. Carlo Maria Martini, che a nove anni dalla morte continuiamo a considerare «un padre della Chiesa» (cf. Regno-att. 16,2012,510), si riverbera anche nelle sue parole sulla morte e sull’inferno, ampiamente esplorate da due saggi di Giovanni Giudici e di Gianfranco Ravasi tratti dal volume La settima stanza del cardinale (cf. riquadro a p. 728). Il testo del card. Ravasi, che commenta un brano di Martini a proposito dell’inferno tratto dalle Conversazioni notturne a Gerusalemme, attinge a numerose altre pagine dell’arcivescovo di Milano sul tema, mostrandone la grande coerenza interna. In quello di mons. Giudici, che origina da un passo della Cattedra dei non credenti, sono presenti anche eloquenti tratti biografici, a partire da un «Dio si è dimenticato di me» mormorato da Martini pochi mesi prima di morire. Nello stesso testo, nonché nel riquadro di Gianfranco Brunelli a p. 732, compaiono anche riferimenti agli incontri cui il card. Martini partecipava a San Gallo, assai diversi dalle «tesi complottarde» talora reiterate nella pubblicistica tradizionalista.
La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.