Il «mistero racchiuso in quelle parole: Il Verbo fatto carne, non potevo nemmeno sospettarlo» (Conf. 7,19,25). Scrivendo Le confessioni agli sgoccioli del IV secolo, una dozzina di anni dopo la sua adesione al cristianesimo, Agostino d’Ippona offre al mondo una delle opere più straordinarie della letteratura religiosa, un poema della grazia.
Il governo Conte-bis nacque il 5 settembre 2019 per calcolo politico di Renzi. Serviva a impedire le elezioni immediate chieste da Matteo Salvini con la crisi d’agosto e tenerlo all’opposizione in attesa di arrivare al 2022. All’elezione del nuovo presidente della Repubblica con questo Parlamento. Per il Partito democratico zingarettiano, che in un gioco delle parti interno si era opposto fino al giorno prima a un accordo con i 5Stelle, fu un’occasione unica. Usciva dalla peggior sconfitta elettorale e dopo un anno d’opposizione tornava al governo con una semplice manovra parlamentare.
L’elezione di Joe Biden, il secondo presidente cattolico della storia statunitense, chiude il quinquennio tra il 2016 e il 2020, per molti versi straordinario nella storia dei rapporti tra gli Stati Uniti, il papato e la Chiesa cattolica. Il voto di circa la metà dei cattolici americani per Trump, per la seconda volta (con uno spostamento a favore di Biden sensibile, ma non drammatico rispetto al 2016) va letto in parallelo al mancato ralliement dei cattolici americani a papa Francesco, che ha avuto il suo tentativo più visibile nel viaggio apostolico del settembre 2015.
La Colombia vive una transizione postbellica tormentata e sull’orlo del fallimento. Gli accordi di pace siglati nel 2016 tra il governo del presidente Juan Manuel Santos e la principale guerriglia marxista del paese, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC; Regno-att. 16,2016, 487), che intendevano porre fine a oltre mezzo secolo di guerra civile, si scontrano con gli omidici e le stragi di leader popolari ed ex guerriglieri, con la sordità dell’esecutivo alle rivendicazioni delle organizzazioni sociali, col ritorno alla lotta armata di settori delle FARC, col blocco dei negoziati con le altre formazioni combattenti, con la ripresa dell’attività dei gruppi paramilitari di estrema destra legati al narcotraffico. Mons. Dário De Jesús Monsalve Mejía, arcivescovo di Cali, è una delle figure della Chiesa colombiana che più si è impegnato a favore della pace. Il Regno ha parlato con lui della situazione del paese.
Le 20 pagine del numero di settembre di Alvorada – giornale della prelatura di São Félix do Araguaia (Mato Grosso) – sono interamente dedicate al ricordo di mons. Pedro Casaldáliga Plá, morto l’8 agosto scorso a 92 anni (cf. Re-blog, https://bit.ly/371EeWk). Il religioso claretiano catalano, malato di Parkinson da 21 anni e in sedia a rotelle da 4, resse la prelatura, di cui fu il primo vescovo, dal 1970 al 2005 (cf. Regno-att. 20,2019,624).
Il papa intende promuovere la pietà giuseppina tra i fedeli, orientandola secondo gli indirizzi che ritiene adeguati al tempo presente. L’incoraggiamento a questa devozione è reso evidente dall’indizione a partire dall’8 dicembre 2020 di un anno di san Giuseppe, nel corso del quale i fedeli potranno lucrare l’indulgenza plenaria.
La prospettiva entro cui colloco la mia lettura è quella di un bioeticista d’ispirazione cattolica che, impegnato da anni nell’analisi delle questioni etiche di fine vita nei contesti della pratica clinica e nel più ampio contesto del dibattito pubblico, cerca di mettere a punto categorie che possano rendere produttivo il confronto tra sensibilità credente e sensibilità laica in tema di diritto a morire con dignità.
È appena entrata nell’uso comune di molte diocesi, a partire dalla I domenica di Avvento, la 3a edizione del Messale romano in lingua italiana. Il testo arriva alla meta tanto agognata dopo 18 anni e compie così la maggiore età. Ma proprio ora il Messale scopre sul suo corpo, appena rilegato e fresco di stampa, le tracce di una minorità dura da superare e che merita cura e attenzione. Una minorità che persiste, nonostante l’età matura, e che è dovuta a un’infanzia e a un’adolescenza piena di traumi.
Il «Sinodo minore ci ha insegnato che “Chiesa dalle genti” non coincide con e non può essere soltanto la “Chiesa dei migranti”: è invece la Chiesa che riconosce la ricchezza dei carismi che la abitano; che sa ascoltare quanto la fede individuale sa lasciarsi istruire dagli ambienti che abita e dalle sfide con cui è chiamata a misurarsi; è la Chiesa che finalmente riconosce che, pur abitando da generazioni questo territorio, è comunque chiamata a mettersi in movimento, perché è lo Spirito che ci raduna e non soltanto il legame di sangue o la radice territoriale».
L’ultima volta che l’incontrai di persona fu nell’ottobre 2010. Era in Italia esattamente nei giorni di uscita nelle nostre sale del film Uomini di Dio (Des hommes et des dieux). Nonostante i suoi 81 anni (era nato il 21 luglio 1929 a Lione) viaggiava ancora molto. Parlammo del film e ne venne una sua personale recensione di un’opera tanto laica quanto profonda nel presentare la spiritualità dei monaci di Tibhirine, rapiti e poi uccisi nel 1996, dichiarati beati a Orano nel 2018 assieme agli altri 12 religiosi che persero la vita in quegli anni (Regno-doc. 18,2010, 592). L’idea della beatificazione fu sua; la propose a Giovanni Paolo II nel 2000, quando venne convocato a Roma l’incontro di preghiera per celebrare i «nuovi martiri del XX secolo».
Durante la riunione plenaria del 28 agosto 2020 la Conferenza episcopale polacca ha preso posizione con un documento (tradotto in italiano, apparirà su uno dei prossimi numeri de Il Regno Documenti) sulla questione LGBT+. La voce dei vescovi è una reazione alla discussione sorta in Polonia all’inizio del 2020 e tutt’ora in corso sull’ideologia LGBT+ e sulle persone non eteronormative. La discussione è nata nell’ambito della campagna elettorale generale per le presidenziali del paese (svoltesi il 28 giugno e 12 luglio).
La pandemia da coronavirus mette in crisi le certezze dei sistemi giuridici delle democrazie costituzionali e quindi degli strumenti di protezione delle libertà fondamentali. Al pari di quanto già si avverte con l’avanzare di forme di radicalizzazione religiosa nelle società occidentali, che danno conto della necessità di strutturare modelli normativi capaci di favorire un’autentica «convivialità delle differenze» – per dirla con le parole di don Tonino Bello –, il diritto – quello positivo, moderno, secolarizzato – attraversa alcuni dei tornanti più delicati della sua storia.
Siamo di fronte a un testo più articolato e vario di quanto, a prima vista, lasci intendere il titolo. La formulazione adottata è chiaramente orientata in senso propositivo. Il suo scopo è di indicare che l’ospitalità eucaristica è già normalmente possibile; si prendono perciò le distanze dalla clausola secondo la quale la condivisione dell’eucaristia/santa cena sia inseparabilmente legata al conseguimento di una piena e visibile comunione ecclesiale. Praticare l’ospitalità eucaristica si colloca infatti sulla via; più esattamente essa è prospettata come una modalità per raggiungere più sollecitamente la meta. Questa costellazione di significati è senza dubbio presente nel libro, tuttavia il volumetto è ricco di molti altri aspetti.
Giorgio La Pira nacque nel 1904 a Pozzallo, nella solare Sicilia sud-orientale, e morì nel 1977 a Firenze. Quando il futuro costituente cattolico, sindaco di Firenze e inesauribile promotore di progetti di pace fece la sua comparsa sulla terra, l’Italia viveva l’epoca liberale giolittiana e il mondo era nel pieno della stagione dell’imperialismo coloniale europeo e dello Scramble for Africa, della Dollar Diplomacy statunitense e della crisi della Russia zarista.
Francesco «è un papa che parla in parabole – correntemente. Il suo linguaggio magisteriale è costruito, per larga parte, intorno alla figura della similitudine». L’autorevolezza di un teologo come Pierangelo Sequeri rende ancora più appetibile questo volume in cui Luigi Accattoli e Ciro Fusco hanno raccolto 110 parabole di papa Bergoglio; anche perché gli uni hanno lavorato senza sapere dell’altro, e viceversa.
Nella vicenda di Enea, e nella storia di fondazione di cui egli è artefice, è contenuta una lezione: di più, una lezione urgente per i tempi che stiamo vivendo. La vicenda di cui Enea è protagonista è nota. Troia brucia, è sconfitta. La città, che appariva inespugnabile, è vinta attraverso l’inganno. Un cavallo di legno viene scambiato per un omaggio, per il segno della vittoria. La città si abbandona alla festa, all’ebbrezza. Disarma.
Guglielmo Forni Rosa, frequentatore assiduo dell’opera russoviana, letta inizialmente sotto l’influenza di Lévi-Strauss, in questo volume sceglie di presentare Rousseau attraverso un dizionario delle sue idee: amore, bontà naturale, coscienza, cristologia, libertà, ragione, religione civile, teodicea, volontà generale.... Egli lo insegue nelle sue evoluzioni, nelle costanti e nelle radicali trasformazioni di coppie tematiche di assoluta importanza quali natura-cultura, amore di sé-amor proprio, essere-apparire.
Quando ho incominciato a lavorare a questo libro, cercavo un incontro più profondo con le sei donne senza nome, guidato dal Vangelo di Marco e «incamminandomi per le sue vie». In un primo momento il confronto con loro aveva qualcosa di giocoso e di leggero. Mi divertivo a entrare in contatto diretto con le diverse donne e a ricevere immaginarie lettere di risposta da loro. Aveva lo stesso fascino e spirito di una prima conoscenza.
Il lascito di Adriana Zarri, la prima donna teologa ed eremita d’Italia, è, a distanza di pochi anni dalla sua morte, piuttosto ignorato. Sulla sua complessa personalità, che ha vissuto una folgorante esperienza di Dio e di fedeltà all’umano e alla terra, sembra essere calato il silenzio. Nonostante l’impegno solerte a tenerne viva la memoria da parte di un’associazione di amici costituitasi a Ca’ Sassino, l’ultima sua residenza, con incontri sulla sua figura e con la pubblicazione di alcuni significativi suoi saggi, pochi ricordano il suo contributo alla ricerca religiosa e alla vita civile.
L’autore, docente emerito di Nuovo Testamento presso la Pontificia università lateranense e studioso di Paolo di fama internazionale (e anche mondiale, se solo gli studiosi di lingua inglese, salvo rare e notevoli eccezioni, si mettessero a leggere quanto di meglio viene scritto in italiano, come ormai anche in francese e tedesco), con questo nuovo saggio, ricco di dati e intrigante per la tesi che propone, intende informare i suoi lettori circa il carattere eminentemente laico del cristianesimo primitivo, che non conosce figure istituzionali sacerdotali e vede nei vescovi, nei presbiteri e nei diaconi dei fedeli semplicemente incaricati di funzioni pastorali, anche quando detengono la presidenza di atti rituali e cultuali o disciplinano la vita spirituale e carismatica delle Chiese nelle quali operano.
Sono passati 25 anni da quando la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, ha imposto ai tre popoli e ai membri delle minoranze nazionali in Bosnia ed Erzegovina l’Accordo quadro generale per la pace, anche conosciuto come l’Accordo di Dayton che «ha fermato la guerra durata per anni, ma non ha creato una pace stabile e giusta». I vescovi della Bosnia ed Erzegovina non si stancano di ripeterlo: sono anni che denunciano l’inefficacia degli accordi partoriti con grande fatica nella base aerea di Dayton e firmati il 14 dicembre 1995 a Parigi.
La «Chiesa in Giappone celebra ogni anno ad agosto, nell’anniversario del lancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la Settimana della pace. È un’iniziativa nata a seguito della visita di Giovanni Paolo II (23-26.2.1981). Tutte le comunità cristiane pregano durante quella settimana per la pace nel mondo e organizzano vari incontri e attività per promuovere il lavoro per la pace e il disarmo nucleare».
Si avvicina il decennale dell’avvio della crisi dei reattori nella centrale nucleare di Fukushima-1 provocata l’11 marzo 2011 da un devastante tsunami, a sua volta causato da un sisma di magnitudo 9.0. Un evento che ha provocato 20.000 vittime e dalle conseguenze enormi sul piano dei danni, dell’economia e degli effetti sociali.
L’occupazione del Tigray da parte delle forze dell’esercito federale etiope e la caduta di Macallè, la capitale regionale, non porrà fine ai combattimenti. Su questo punto gli osservatori sono concordi. I tigrini sono troppo orgogliosi e troppo legati alla loro terra per accettare la sconfitta. Probabilmente gli scontri proseguiranno ancora sotto forma di guerriglia.
Necessari come l’aria per rimettere al centro gli esclusi; ma allo stesso tempo non disponibili a fare da supplenti alle carenze delle istituzioni pubbliche: tra queste forche caudine devono passare oggi il volontariato e il Terzo settore, travolti anch’essi dall’urgenza della pandemia che da un lato ne fa degli eroi (se agiscono nell’ambito sanitario) e dall’altro dei dimenticati (se tutelano altre fragilità). Occorre – affermano Emanuele Rossi e Luca Gori – riprendere il filo della riflessione su questo importante snodo sociale, innanzitutto dandone una definizione chiara, che è anche un modo per dire che cosa non è. Inoltre il volontariato e il Terzo settore non devono correre il rischio di limitarsi a «produrre beni e servizi», che saranno oggi e nell’immediato sempre più necessari, ma devono spingersi maggiormente nell’«attività di advocacy», il che implica attrezzarsi per l’analisi della realtà per una visione di futuro. Per questo suonano ancor oggi profetiche le parole di mons. Giuseppe Pasini, quando chiedeva che il Terzo settore fosse capace d’«investire nel cambiamento e non rassegnarsi al fatalismo: non si accontenti di consolare i poveri, ma sappia impegnarsi per farli uscire dallo stato di povertà e di dipendenza. Queste mete però sono perseguibili solo attraverso un forte impegno anche politico».