Volontariato e pandemia. La risorsa necessaria per il dopo
Necessari come l’aria per rimettere al centro gli esclusi; ma allo stesso tempo non disponibili a fare da supplenti alle carenze delle istituzioni pubbliche: tra queste forche caudine devono passare oggi il volontariato e il Terzo settore, travolti anch’essi dall’urgenza della pandemia che da un lato ne fa degli eroi (se agiscono nell’ambito sanitario) e dall’altro dei dimenticati (se tutelano altre fragilità). Occorre – affermano Emanuele Rossi e Luca Gori – riprendere il filo della riflessione su questo importante snodo sociale, innanzitutto dandone una definizione chiara, che è anche un modo per dire che cosa non è. Inoltre il volontariato e il Terzo settore non devono correre il rischio di limitarsi a «produrre beni e servizi», che saranno oggi e nell’immediato sempre più necessari, ma devono spingersi maggiormente nell’«attività di advocacy», il che implica attrezzarsi per l’analisi della realtà per una visione di futuro. Per questo suonano ancor oggi profetiche le parole di mons. Giuseppe Pasini, quando chiedeva che il Terzo settore fosse capace d’«investire nel cambiamento e non rassegnarsi al fatalismo: non si accontenti di consolare i poveri, ma sappia impegnarsi per farli uscire dallo stato di povertà e di dipendenza. Queste mete però sono perseguibili solo attraverso un forte impegno anche politico».
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