A
Attualità
Attualità, 22/2020, 15/12/2020, pag. 657

Stati Uniti - Presidenziali: il secondo cattolico

Biden e la profonda spaccatura della Chiesa USA

Massimo Faggioli

L’elezione di Joe Biden, il secondo presidente cattolico della storia statunitense, chiude il quinquennio tra il 2016 e il 2020, per molti versi straordinario nella storia dei rapporti tra gli Stati Uniti, il papato e la Chiesa cattolica. Il voto di circa la metà dei cattolici americani per Trump, per la seconda volta (con uno spostamento a favore di Biden sensibile, ma non drammatico rispetto al 2016) va letto in parallelo al mancato ralliement dei cattolici americani a papa Francesco, che ha avuto il suo tentativo più visibile nel viaggio apostolico del settembre 2015.

 

L’elezione di Joe Biden, il secondo presidente cattolico della storia statunitense, chiude il quinquennio tra il 2016 e il 2020, per molti versi straordinario nella storia dei rapporti tra gli Stati Uniti, il papato e la Chiesa cattolica. Il voto di circa la metà dei cattolici americani per Trump, per la seconda volta (con uno spostamento a favore di Biden sensibile, ma non drammatico rispetto al 2016) va letto in parallelo al mancato ralliement dei cattolici americani a papa Francesco, che ha avuto il suo tentativo più visibile nel viaggio apostolico del settembre 2015.

Trump aveva già annunciato la propria candidatura alla presidenza, ma alla maggior parte degli osservatori sembrava una prospettiva stravagante e improbabile. Era l’inizio di un periodo di tensioni non solo interne alla Chiesa statunitense, ma anche sulla direttrice Washington-Vaticano. Dalla campagna elettorale del 2016 in poi, colossi mediatici come EWTN e Fox News hanno creato una narrazione sul papato di Francesco che, se non ha causato uno scisma formale, ha collaborato a dividere ulteriormente una Chiesa già fortemente polarizzata tra i cattolici del Partito democratico e quelli del Partito repubblicano.

È fallito il progetto politico-religioso (portato avanti da Steve Bannon, da Newt Gingrich, dal complesso mediatico cattolico anglofono ostile al pontificato) d’impiantare nel cuore simbolico e amministrativo del cattolicesimo quella Vandea politico-religiosa che è stata il trumpismo, e di fare di Roma la capitale di una nuova Europa, anti-europeista e anti-Francesco.

Sul piano diplomatico dei rapporti, la presidenza Biden promette di offrire non solo maggiore stabilità nei rapporti col Vaticano grazie a un approccio più multilaterale, ma anche convergenza con Francesco su temi come le migrazioni e l’ambiente. Il fatto che papa Francesco abbia riconosciuto il risultato delle elezioni presidenziali e si sia congratulato con Biden con la telefonata dell’11 novembre, prima che Trump potesse decidersi a prendere atto della sconfitta, dice qualcosa sul sollievo con cui il pontificato vede il risultato delle elezioni del 2020.

Un gesto non senza precedenti: il 12 novembre 2008 Benedetto XVI aveva chiamato Barack Obama per congratularsi. Ma la chiamata di Francesco è avvenuta in un contesto politico ed ecclesiale molto più conflittuale di quello del 2008. I vescovi americani mostrano un evidente disagio per l’elezione del secondo presidente cattolico come Biden che incarna un’interpretazione della fede sulla scena pubblica molto lontana da quella delle «culture wars».

Biden potrà nominare un nuovo ambasciatore presso la Santa Sede al posto di Calista Gingrich, terza moglie di Newt Gingrich, lo speaker of the House al Congresso dal 1995 al 1999, ideologo del Grand Old Party (GOP, il Partito repubblicano) e profeta del trumpismo. È alle viste un cambio di personale anche nella missione diplomatica papale negli Stati Uniti: il nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Christophe Pierre, compie 75 anni nel gennaio 2021, l’età in cui i vescovi devono presentare le loro dimissioni al papa.

Le convergenze con Francesco

Le nomine annunciate da Joe Biden durante le settimane iniziali della transizione hanno lanciato subito un segnale di cambiamento sulle questioni internazionali: segretario di Stato (Antony Blinken, già membro dello staff di Bill Clinton alla Casa Bianca negli anni Novanta, e in quello di Barack Obama prima come viceconsigliere per la sicurezza nazionale e poi come vicesegretario di Stato), ambasciatore alle Nazioni Unite (Linda Thomas-Greenfield, diplomatico di carriera), segretario di «Homeland Security» (l’avvocato cubano-americano Alejandro Mayorkas, già vicesegretario dello stesso dipartimento con Obama, tra 2013 e 2017), e inviato speciale per i cambiamenti climatici (l’ex segretario di Stato dell’amministrazione Obama, John Kerry).

Non è chiaro quale sarà la dottrina dell’amministrazione Biden in politica estera, ma si affida a una squadra di convinti internazionalisti che segnala il ripudio dell’isolazionismo nazionalista dell’agenda Trump. E nonostante la biografia dei nominati, un ritorno alla visione del mondo clintoniana è inimmaginabile.

Se sul piano diplomatico la dipartita di Trump è un momento di svolta, non è chiaro che cosa possa significare sul piano ecclesiale l’elezione di Biden. È innegabile una convergenza tra Francesco e Biden sulle questioni economiche e sociali – eccettuato l’aborto, su cui il Partito democratico si è attestato nel corso degli ultimi anni su posizioni più intransigenti sulla difesa del diritto di aborto come diritto costituzionale, ed eccettuata la visione eccezionalista dell’America che è richiesta a chi ricopre la presidenza –.

Francesco e Biden appartengono alla stessa generazione, ma il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti rappresenta un cattolicesimo in possibile via d’estinzione. Joe Biden personifica quell’era della Chiesa americana forgiata dalle scuole cattoliche gestite dagli ordini religiosi; dalla storia dell’immigrazione europea sulla costa orientale, nella zona dei Grandi laghi e il Midwest. Era un cattolicesimo più espressione della classe operaia e delle fasce marginali dal punto di vista socio-economico rispetto a oggi; con un complesso d’inferiorità rispetto all’establishment protestante, ma non polarizzato come adesso; con una componente di latinos che allora era ancora minoritaria e presente solo in alcune aree del paese; un cattolicesimo che a livello mediatico non era ancora identificato con lo scandalo delle violenze sessuali commesse dal clero.

La crisi cattolica statunitense non trova soluzione con l’elezione del cattolico Biden alla presidenza. Fa guadagnare tempo prezioso al pontificato, ma il trumpismo cattolico non svanirà. Durante gli anni di Trump è stato riluttante nel prendere posizione sulla situazione d’emergenza in cui versava lo stato di diritto in America. Durante la campagna elettorale, mentre alcuni vescovi provavano a ritirare a Biden la patente di cattolico praticante a causa della sua posizione sull’aborto (una riedizione delle «guerre dell’ostia» contro il candidato cattolico John Kerry nel 2004), la conferenza episcopale non riteneva necessario pronunciarsi sui sistematici tentativi da parte delle amministrazioni repubblicane (federale e locali) di ostacolare il diritto di voto delle minoranze (specialmente afroamericane).

Un ruolo per il neo-cardinale Gregory

Parte non marginale dell’episcopato ha fatto del sostegno a Trump un modo per resistere al nuovo corso di papa Francesco. La conferenza episcopale guidata dal presidente José H. Gomez, arcivescovo di Los Angeles (eletto nel novembre 2019 per un triennio), non ha tardato, nell’assemblea plenaria di metà novembre (svoltasi in modalità remota), a lanciare segnali ostili verso il presidente eletto: segnale di una leadership debole.

Un comitato ristretto della USCCB ha infatti deciso la creazione di una commissione episcopale, composta da presidenti di varie commissioni permanenti, incaricata di affrontare il problema della discrepanza tra le posizioni del presidente Biden e il magistero della Chiesa (specialmente sulle questioni della vita). A presiederla sarà l’arcivescovo di Detroit, mons. Allen Vigneron, vicepresidente della USCCB.

Il presidente Gomez ha motivato la decisione con l’aspettativa che le politiche dell’amministrazione Biden saranno in contraddizione con quella che venne definita dalla USCCB nel novembre 2019 come la «priorità pre-eminente» della Chiesa sulla scena pubblica, ovvero l’aborto. Un trattamento singolare quello riservato a Biden, dopo anni in cui la Conferenza episcopale non aveva preso misure straordinarie per confrontarsi con l’amministrazione Trump.

La decisione di creare una commissione ad hoc in risposta all’elezione di Biden ha sorpreso un certo numero di vescovi (come Robert McElroy di San Diego e Mark Seitz di El Paso, Texas), che non hanno esitato a rendere pubblico il loro dissenso.

L’interlocutore più importante tra i vescovi per l’amministrazione Biden potrebbe essere l’arcivescovo di Washington, D.C. (dal maggio 2019), Wilton Gregory, uno dei nuovi cardinali creati da papa Francesco il 28 novembre e il primo cardinale afroamericano (già primo presidente afroamericano della USCCB tra 2001 e 2004, con un ruolo importante nella stesura Carta di Dallas del 2002, momento di svolta nella risposta della Chiesa allo scandalo degli abusi e delle violenze sessuali).

In una intervista rilasciata al National Catholic Reporter, Gregory esprimeva in maniera chiara la volontà di collaborare con Biden, enfatizzando la necessità di confrontarsi «in maniera rispettosa» anche sulla difesa della vita, su cui c’è una evidente contraddizione tra l’insegnamento della Chiesa e le posizioni dell’amministrazione: anche sulla questione della comunione, toni diversi rispetto a quelli della Conferenza episcopale.1

Coraggioso sulle questioni dei diritti civili, nel giugno 2020 aveva criticato pubblicamente la manipolazione della religione da parte di Trump in visita al santuario nazionale San Giovanni Paolo II a Washington, subito dopo aver ordinato lo sgombero manu militari di una manifestazione pacifica di fronte alla Casa Bianca.

Gregory è stato ordinato prete a Chicago, proveniente dal famigerato e violento «South Side», luogo storico di arrivo degli immigrati. A pochi isolati soltanto dal luogo in cui un giovane Barack Obama mosse i primi passi in politica, la Chicago del cardinale Joseph Bernardin (1928-1996), che fu mentore per Gregory. Il cattolicesimo americano cerca di ripartire, ancora una volta, da quel progetto per un «Catholic common ground» (cf. anche Regno-att. 14,2017,423).

 

Massimo Faggioli

 

1 Cf. J. McElwee, «Washington’s Archbishop Gregory expects “respectful” dialogue with President Biden», in National Catholic Reporter, 24.11.2020, https://bit.ly/2VD5jZj.

Tipo Articolo
Tema Politica
Area AMERICA DEL NORD AMERICHE
Nazioni

Leggi anche

Attualità, 2024-22

USA - Cattolici: l’America del secondo Trump

I cattolici alla ricerca di una nuova, o forse ritrovata, identità

Massimo Faggioli

La vittoria di Donald Trump alle elezioni del 2024 è stata più netta del previsto (cf. Regno-att. 20,2024,593) ed è una sconfitta per i cattolici che avevano visto in Joe Biden la cura contro il populismo nativista. 

Attualità, 2024-20

Stati Uniti - Presidenziali: cattolici normalizzati

Chiesa statunitense e scarso valore dell’ideale democratico

Massimo Faggioli

A tre settimane dalle elezioni, alla tradizionale cena di gala «Al Smith dinner» per la raccolta di fondi a favore delle associazioni di beneficenza cattoliche a New York l’America ha dato un’eloquente immagine di sé.

Attualità, 2024-16

USA-Presidenziali - Cattolicesimo: bye bye Roma

Il passaggio da Biden a Harris e i candidati vicepresidenti

Massimo Faggioli

Durante l’estate la campagna elettorale per le presidenziali americane del novembre 2024 ha cambiato i suoi protagonisti grazie a una serie di eventi avvenuti in rapida successione.