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Il Regno delle Donne

Zoppicando verso la luce

Un ricordo della pioniera dell’esegesi femminista, la biblista statunitense Phyllis Trible (Richmond, 1932 – Manhattan, 2025)

Phyllis Trible (Richmond, 1932 – Manhattan, 2025) è stata una biblista statunitense, pioniera dell’esegesi femminista. Formata nella tradizione battista e attenta al dialogo ecumenico, ha insegnato Antico Testamento all’Union Theological Seminary di New York e alla Wake Forest University Divinity School, contribuendo a ridefinire il rapporto tra Scrittura, linguaggio e genere. Un assaggio del suo lavoro è offerto dal volume Fede e femminismi. Saggi ecumenici (Aracne, 2017), curato insieme a B. Diane Lipsett, con edizione italiana a cura di Renata Bedendo, prefazione di Letizia Tomassone e traduzione di Francesca Priori.

La notizia è ormai di qualche giorno fa: il 17 ottobre è morta a Manhattan, a novantadue anni, Phyllis Trible, una delle bibliste più autorevoli della seconda metà del Novecento. Appartenente alla seconda ondata del femminismo, ha fatto parte di quella generazione di studiose che, con acribia filologica e finezza letteraria, ha conquistato piena cittadinanza nel mondo accademico e negli studi biblici. Si definiva «una femminista che ama la Scrittura», una sintesi non priva di tensione che a molti poteva suonare come un ossimoro, ma in cui lei si sentiva a casa, perché se il femminismo le offriva uno sguardo critico, capace di smascherare le letture androcentriche, la Scrittura restava per lei la grande storia attraverso cui leggere il mondo (ne dà conto e ragione in «If the Bibles So Patriarchal, How Come I Love It?», in Bible Review 8[1992]: 55, 44-47).

E come Giacobbe allo Iabbok – un’immagine a cui è spesso ritornata e in cui si è profondamente identificata – ha tenuto testa alla Bibbia senza mai lasciarla andare né ridurla a una sola voce, per riceverne infine la benedizione a caro prezzo. Ha camminato in questo modo tra le Scritture, «lottando con le parole e zoppicando verso la luce» (cf. «Wrestling with Faith», in Biblical Archaeology Review 40[2014] 5, 64), sostenuta dal rigore di un passo ferito e dalla fiducia, mai ingenua, che le Scritture continuino a dire qualcosa di profondamente significativo sull’umano e su Dio. 

I due libri più importanti

I due libri più importanti – God and the Rhetoric of Sexuality (Philadelphia 1978) e Texts of Terror (Philadelphia 1984, recentemente ripubblicato per il suo quarantennale) – hanno avuto un impatto straordinario sugli studi biblici e sull’ermeneutica femminista, trasformando il modo di leggere la Bibbia e d’interrogare la sua etica.

Entrambi condividono una prospettiva femminista, ma si muovono in direzioni opposte e complementari. Se nel primo Trible esplora la trama delle parole e delle immagini bibliche per scoprire una libertà più ampia di quella che riduce Dio al solo genere maschile, in Texts of Terror invece si inoltra, senza sconti né scorciatoie, nel lato oscuro delle Scritture, nelle storie senza lieto fine di donne usate, violate, dimenticate: dolorosissime pagine bibliche che, come scrive nella prefazione alla nuova edizione, «senza la gioia» del suo primo libro lei stessa avrebbe trovato insostenibili (40th Anniversary Edition, Philadelphia 2022, xxi).

Leggere tenendo insieme gli opposti, senza cedere alla tentazione di semplificare nella convinzione che il mistero del Dio biblico si sveli non nella polarità, ma nell’incontro: è questa la posizione eseg-etica di Trible che, nel suo discorso presidenziale del 1994 alla Society of Biblical Literature (seconda donna, dopo Elisabeth Schüssler Fiorenza, a ricoprire tale incarico), ripercorrendo la «storia bipolare» dello scontro tra Elia e Gezabele (cf. 1Re 17–21; 2Re 9), ha sostenuto con chiarezza che quando la retorica della fede tende a costruire opposizioni nette, nella realtà del racconto biblico il dramma si scioglie in specularità e ambiguità; e laddove il discorso religioso vuole ordine e purezza, la narrazione introduce quell’ironia, quella tensione e quei paradossi che indeboliscono le frontiere tra personaggi buoni e cattivi, ne mostrano l’interdipendenza invitando perciò a riconoscere l’altro nello specchio del sé. 

Con gratitudine

La morte di Phyllis Trible consegna alla nostra memoria una studiosa che ha creduto nel potere della parola biblica di ferire e di guarire, di nascondere e di rivelare. Il suo lascito è una pratica di lettura che non separa intelligenza e profondità spirituale e che trova nel suono di un silenzio sottile (cf. 1Re 19,12) la dimora ultima della verità biblica: uno spazio dove nessuna parola pretende di dire tutto.

Il suo lavoro pionieristico e appassionato ha aperto spazi di libertà che molte studiose dopo di lei hanno continuato a esplorare, talvolta prendendo strade più radicali. Anche nel dialogo con chi ha messo in discussione il suo ottimismo ermeneutico, l’eredità di Trible rimane quella d’aver insegnato che la Bibbia si può ancora interrogare e amare senza smettere di misurarsi con essa.

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