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Il Regno delle Donne

Vietato alle donne! La benedizione, la gara e… la guerra

Un fatto dai tratti anche comici accaduto in una comunità ortodossa rumena in Italia conferma la persistenza – comune a diverse Chiese – di steccati di genere e rigidità ecclesiologiche. Nello spirito della recente Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (Is 1,17), occorre lavorare insieme per rimuovere questi ostacoli. E lo sguardo delle donne aiuta tutti. 

 

Un fatto qualsiasi?

Un fatto apparentemente banale riguardante la comunità ortodossa rumena in Italia è circolato nei giorni scorsi su internet1: in occasione della Festa del battesimo di Gesù il vescovo casca in mare nel bel mezzo della cerimonia della benedizione delle acque congiunta con la tradizionale gara per recuperare una croce gettata nelle stesse. 

Questa competizione è “normalmente vietata alle donne”, afferma qualcuna del pubblico, secondo un filmato. Uno stereotipo di genere, una tradizionale discriminazione, certo. Ma il tutto dice tante altre cose sulla Chiesa e sulla percezione che se ne può avere. 

Tradizione e tradizioni…

Nell’ambito ortodosso e greco-cattolico dell’est Europa la festa del Battesimo di Gesù si celebra con grande solennità; si fa la benedizione dell’acqua destinata ai fedeli e quella dei fiumi e del mare. La gente ci è ancora molto attaccata, fino ad accalcarsi per una bottiglia o ad affrontare i rischi della pandemia per partecipare ai riti. Una tradizione perpetuata intorno a questa festa è la gara alla croce. Dopo la liturgia, la comunità va in processione verso l’acqua della città dove il “celebrante” lancia una croce benedetta che dei giovani maschi tentano di recuperare. Tale consuetudine può essere letta in senso devoto o perfino teologico (in quanto atto di fede e di pietà, paragonabile al tentativo di Pietro di camminare sulle acque), ma sono per lo più le connotazioni magiche a prevalere (la croce è vista come un portafortuna, all’acqua benedetta vengono attribuite proprietà straordinarie e certe formule di preghiera non sono estranee a questa percezione) e su tutto domina l’idea di competizione e la dimostrazione di forza.

A quanto pare, ci si impegna a perpetuare simile tradizione anche all’estero, visto che il fatto menzionato è accaduto in una comunità rumena d’Italia. Un filmato coglie il momento in cui, da una piattaforma sollevata sopra il mare, il vescovo getta una gran bella croce nel mare. Pronte a prenderla, alcune persone tuffate senza troppa convinzione – è freddo, tra l’altro – incitate dai celebranti. Solo che, insieme alla croce, scivola nel mare anche il vescovo. Ed ecco che gli altri membri del clero si preoccupano di ripescare lui, uno dei concorrenti la sua mitra e qualcun altro (più esattamente qualcuna) la croce stessa. Forse un po’ perché è stata una donna a prenderla, forse un po’ per distrarre l’attenzione dall’accaduto (oppure perché la tradizione può cambiare), si lanciano successivamente nel mare più croci, sempre più lontano, che vengono prese (in una lotta più seria) da altri concorrenti.

«Vietato alle ragazze»!

In una delle registrazioni che fanno il giro di Internet si sente una voce femminile affermare: «quella grande l’ha avuta una donna…; normalmente è vietato alle ragazze». E questo mi ricorda subito un film: Dio è donna [per il pubblico rumeno, più cautamente, Dio esiste] e il suo nome è Petrunya, uscito qualche anno fa. E forse, in assenza di un simile commento, la presenza di una femmina in quella scena non sarebbe stata nemmeno notata, prima di tutto a causa della scarsa qualità del video, ma non di meno a causa di una forma mentis che non vede una donna in simili contesti se non in qualità di spettatrice. Un’altra registrazione la riprende però meglio: essa entra nell’acqua insieme a un uomo senza preoccuparsi se è permesso o meno; si coinvolge nella “lotta” insieme agli altri, e non soltanto al primo lancio, ma anche ai successivi, benché avesse già conquistato il primo “trofeo”.

Un oggetto buttato verso di lei quando uscirà vittoriosa dall’acqua le dirà che ha fatto «quello che non andava fatto». Non è sembrata curarsene, ma non sappiamo cosa può essere accaduto in seguito. Speriamo che non abbia dovuto pagare il suo “successo” come Petrunya, che aveva commesso la stessa “empietà” nella sua cittadina macedone natale, facendo sollevare tutti quanti contro di lei: i maschi concorrenti, le donne della comunità, la propria famiglia, le autorità civili e quelle ecclesiastiche, la nazione intera. Speriamo che le sia stato concesso (o che abbia scelto) di conservare la gioia con cui si era tuffata nel mare e la felicità con cui ne era uscita. E che gli altri abbiano imparato qualcosa della naturalezza con cui si era coinvolta nella gara. Qualche maschio era incitato dalla moglie: «Entraci anche tu»; «Dai, ecco, ne butta un’altra»; «Non hai nulla da perdere»; «Vinceranno le donne contro gli uomini»; e, per chi si preoccupava di prendere il raffreddore, «Ti curerò io».

Quale immagine di Chiesa?

Non voglio dire che simili tradizioni vadano necessariamente perpetuate; qualcuno commentava: «Ridicola scena, ridicoli i preti, ridicolo l’uditorio». Certo, possiamo pensare alla nostalgia di casa di chi si trova in una terra straniera. Comunque, davanti a simili reazioni e all’accaduto, ci possiamo e dobbiamo chiedere (in tutte le confessioni) quale immagine di Chiesa vogliamo offrire o, meglio, quale Chiesa vogliamo essere. Una che separa maschi e femmine nei suoi stessi riti e rituali? Forse anche a causa di simili “interdetti”, in Romania si era sviluppata una tradizione parallela, il “Giordano delle donne”, che le faceva riunirsi per banchettare la notte dopo la festa per poi al mattino catturare i maschi incontrati in strada e minacciarli di buttarli nell’acqua. Se abbiamo bisogno di simili riti, perché farne occasione di divisione mentre la vocazione della chiesa sarebbe piuttosto quella di unificare?

E tale separazione non è la sola; ancora più profonda è quella tra “clero e popolo” (secondo una formula della liturgia bizantina, ma presente anche in quella cattolica). Per capirlo basta seguire l’inizio della registrazione che presenta la processione capitanata dal vescovo avvicinarsi al mare. Su un lungo tappeto blu sono solo i “consacrati” a mettere piede, mentre la gente cammina sulla sabbia; anzi, se vuole passare da una parte all’altra, la salta o la sfiora appena, come per paura di sporcarla. Tra i laici, sono solo due a toccarla (forse per fretta o inconsapevolezza). E poi quella piattaforma sopraelevata su cui salgono soltanto i clerici, tra l’altro non tenendo conto dei ripetuti avvertimenti riguardo la sua resistenza (e sembrano al di sopra delle leggi fisiche dei materiali o della perizia del costruttore). È da lì che l’uno di essi rivolge al “pubblico” la provocazione alla gara, non senza una certa superiorità. È da lì che un altro asperge il primo immerso con acqua benedetta (il che lo fa rispondere con un applauso sommesso).

Domande e orizzonti

Non sorprende che nei commenti ci sia anche chi tratta i partecipanti alla gara come «pecore» e «scemi». Nemmeno al vescovo vengono risparmiate le ironie. Il suo imprevisto tuffo nel mare è visto come: un bagnarsi più di tutti, una partecipazione alla gara, “un battesimo”, “una purificazione dai peccati”. Mi sto chiedendo che impressione avrebbe lasciato se – invece di sbrigarsi ad arrampicarsi di nuovo sopra la piattaforma – fosse rimasto in acqua accanto ai “concorrenti”. Se, invece di farsi rialzare dai preti e dal diacono, avesse piuttosto camminato verso la gente e poi in mezzo ad essa verso la riva, una volta finita la gara. Se, prima della stessa dal palco avesse benedetto gli astanti, in raccoglimento o ad alta voce? O se, ancora meglio, rinunciando a quella struttura sopraelevata (e al tappetto) e rimanendo in mezzo ai partecipanti, li avesse benedetti e insegnato a benedire a loro volta quel pezzo di terra e di mare e il mondo intero in quella occasione e in qualsiasi altra?

Guardando al di là di questo fatto circoscritto e forse banale, mi auguro che la Chiesa – ogni Chiesa! – sia capace di oltrepassare qualunque gara che non sia quella del servizio e dell’amore. Con quale credibilità si opporrà ai conflitti come quelli del nostro tempo, proponendo la via della pace, se non è capace di sorpassare le proprie interne tensioni e divisioni tra: maschi e femmine, clerici e laici, chi conta e chi meno, chi è sopra è chi è sotto, vecchio e nuovo, tradizione e progresso? Non basta proporre una nuova dottrina sulla guerra se non diventiamo consapevoli per quanto le nostre antropologie e teologie hanno alimentato (e continuano a farlo) le lacerazioni e i conflitti di questo mondo. E non è sufficiente riconoscerlo; è urgente riparare, anche mettendo in discussione interpretazioni e pratiche considerate tradizionali. La croce diventerà veramente benedizione e cambierà la nostra esistenza non in quanto esposta qua e là, tuffata nelle acque o abbracciata come un amuleto, ma in quanto guarisce la nostra visione sul potere, sull’essere umano, su Dio stesso.

 

1.  https://www.hotnews.ro/stiri-international-26007770-video-cazut-popa-momentul-care-preot-picat-mare-dupa-aruncat-crucea-boboteaza.htm; https://www.ilcorrieredellacitta.com/ultime-notizie/epifania-ortodossa-a-torvaianica-il-pope-lancia-la-croce-in-mare-e-scivola-in-acqua-video.html

 

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