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Il Regno delle Donne

Una politica senza donne: a chi giova?

A pochi giorni da una tornata elettorale che ha ignorato le culture femminili e limitato gli effetti del Rosatellum sulla presenza di donne in Parlamento, le piazze si sono riempite per i cortei dell’8 marzo. Ma se alle donne interessa contribuire al bene comune mediante un concreto impegno di genere non conviene che deleghino ad altri il potere legislativo: il distacco fra istituzioni e paese reale non potrà che aumentare.

 

L’ormai ex-parlamentare PD Donata Lenzi in un suo più esauriente messaggio di fine-mandato agli amici constata:

«Per la prima volta il PD di Bologna non ha eletto donne bolognesi. Anche andando indietro nei decenni non è mai successo. La responsabilità primaria è dei segretari a tutti i livelli: non è stata neanche data la possibilità delle primarie o almeno di una decisione in direzione. D'altronde chi volete avesse il coraggio di andare in direzione e dire “le donne non lasciamole a casa” e magari aggiungere “…tanto loro un lavoro ce l'hanno…”. Alcuni penseranno che di fronte al terremoto elettorale questo sia un tema di poco conto. Personalmente lo ritengo la dimostrazione ennesima di distacco dalla realtà. Aggiungo che suona come un giudizio pesantemente negativo rispetto al nostro lavoro, anche se in testa in tutti gli indici di produttività, e negativo verso le donne che si impegnano a tutti i livelli – perché neanche una di loro è stata ritenuta degna di correre. C'è una sola risposta ed è fare da sole, ma ci sarà tempo per farlo».

Donne in Parlamento: nessun boom di quote rosa

Dopo una campagna elettorale in cui le donne sono sparite come genere, la presenza numerica femminile nella nuova legislatura non è quella che il "rosatellum" aveva previsto (40%). Non stupisce. Quello che, invece, preoccupa è che nessuna delle donne elette si fosse proposta con l'intento di rappresentare l'autorevolezza femminile per il bene del paese.

Infatti, per chi non ci avesse fatto caso, il beneficio della legge che obbliga a far posto alle donne nelle liste elettorali ha messo in luce sia l'interferenza costante dei machiavelli del potere, sia l'apparente ingenuità di candidate mute e subalterne ai loro partiti. A prescindere dalle tendenze politiche, infatti, sono rimaste – e restano – pervicacemente oscurate anche dai media; ma nessuna ha rotto il silenzio escludente.

La concomitanza con l'“Ottomarzo” ha reso stridente il contrasto con l'animazione delle piazze piene di migliaia di donne, in gran parte giovani, animate da una rinnovata “voglia di femminismo” recuperata dalle denunce contro la violenza sessista da parte del movimento mondiale #MeToo: una reazione contro il costume tradizionalmente patriarcale che, partendo dalla svalutazione del corpo femminile, insidia la libertà del vivere sociale, definito “civile” nonostante abbia sempre sottratto alla civiltà dei rapporti democratici l'effettività concreta di quella risorsa che Giovanni Paolo II gentilmente definì “il genio femminile”.

I cortei hanno segnalato un divorzio tra le donne e le istituzioni? Non è detto: dipenderà, tuttavia, più dalle cittadine che dai governi. Se interessa alle donne farsi pilastro e sostegno al bene comune mediante un concreto impegno “di genere”, bisognerà capire che non conviene abbandonare il potere legislativo nelle mani apparentemente neutre del genere dominante.

La rappresentanza (che, anche per questa ragione, deve restare “senza vincoli di mandato”) viene definita dal voto popolare che, a sua volta, dipende dall'impegno delle parti politiche responsabili anche della formazione delle liste, raramente attente, anche in presenza di norme vincolanti, a valorizzare la presenza femminile all'interno delle compagini e dei programmi politici.

Pari opportunità: presente e futuro...

Le candidate che hanno accettato il giochino delle pluri-candidature (la sicurezza dell'uninominale e la ridistribuzione nei listini proporzionali), “sapevano” di favorire l'elezione di un numero maggiore di uomini. Evidentemente anche le candidate – come le elettrici – hanno votato per passione di parte prima che per affermare i propri principi, egualitari e democratici: il meccanismo inibitorio della subalternità continua ad infiltrare il sentire femminile: la “forma-partito” mantiene una priorità del cuore non molto diversa da quella che le donne dedicano alla famiglia e al loro uomo. Succede però che il medesimo meccanismo induca a non denunciare lo sconosciuto, l'amico, il marito che non rispetta il loro corpo e, troppo spesso, gli fa del male e ne soffoca l'anima.

Non per entrare in competitività e guadagnare un posto conservando gli stessi poteri, ma nemmeno per accettare i poco democratici rapporti di forza istituzionali, è necessario che le donne mantengano la consapevolezza dei propri diritti. Se cederà questa coscienza e la sua capacità di farsi sentire, il Parlamento e le sue leggi non modificheranno la tradizionale tendenza a comprimere i diritti di genere con le erogazioni di benefici e le “leggine”.

Non si può dimenticare che le norme elettorali paritarie dipendono dalla riforma dell'art.51 della Costituzione del 2003, proposta dal governo Berlusconi e trionfalmente plebiscitata da una “larghissima intesa”, che ha aggiunto un comma debolmente innovatore: per l'adeguamento di genere negli uffici pubblici «la Repubblica... favorisce (peccato aver escluso “garantisce”) le pari opportunità (che non sono i “pari diritti”) tra uomini e donne». Le parlamentari di allora erano consapevoli che la formula avrebbe avuto bisogno di leggi applicative per i processi elettorali: sono arrivate giusto quindici anni dopo.

In prospettiva non sarà un rimedio affidare le aspettative del 52 % dell'elettorato alla politica della rete (secondo il modello M5S): se le nuove leve continueranno a trattare di tutto fuorché dell'importanza dello spazio da attribuire alla rappresentanza e alla cultura femminili, difficilmente si aprirà il collegamento fecondo con le organizzazioni territoriali e si rischierà di ripetere l'errore di respingere il più creativo e affidabile contributo sociale per traghettare il sistema verso un futuro migliore.

 

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