Una politica della santità. La provocazione della festa di Ognissanti
La santità nell’esperienza cristiana è da sempre una faccenda politica: non solo e non primariamente nel senso deleterio, tipico di alcuni passaggi storici, di dichiarazioni di santità (e prassi di culto) strumentalizzate dalle logiche del denaro, del potere e del prestigio, ma prima e in modo più rilevante in senso veramente positivo. Si tratta infatti di una forma dell’espressione corporea e particolare in cui i cristiani, specie nella loro componente più popolare, assicurano la loro speranza che l’Evangelo non sia un’utopia (un sogno senza luogo), ma piuttosto una eu-topia, un bel luogo in cui vivere.
Una deformazione recente (e un po’ clericale…) degli ultimi due secoli ci induce una lettura in cui s’identifica santità con moralità e purezza. Ma – per fare un esempio radicato nell’immaginario benché privo di riscontro nei testi evangelici –: «Maria Maddalena diventa santa nonostante i suoi peccati o a causa dei suoi peccati? In verità la santità della Maddalena si misura meno per la sua purezza morale, ma molto di più per la sua capacità di diventare di nuovo innocente. E tale innocenza è bella. È bella perché è un’opera d’arte, l’arte di Dio (…) Se dovessi tradurre la parola kalokagathia, direi che sarebbe “innocenza ferita” (…) È l’innocenza di coloro che si trovano di fronte a una tomba anonima e tuttavia sperano le cose non viste. Tali speranze poi diventano note, segni che hanno riempito la Chiesa di musica, colori, arazzi, statue, dipinti, danza, teatro e mille altre forme fin dal suo inizio. È il segno di un’innocenza ferita. È il marchio della kalokagathia».1
E si tratta di una forma che, specie nel culto, è plurale e inclusiva: i santi sono diversi e per la loro diversità caratteristica vengono invocati e amati; sono giovani, vecchi, bambini, persino… donne!
Che storia, quella delle donne e della santità… Un’eccedenza continua rispetto a ogni narrazione che cerca continuamente di normalizzarle e trasformarle da sante in immaginette. Per le donne la santità è una politica di esagerazione e sanno bene quanto sia una strada rischiosa («È una vita che cerco riparo dalla santità», scrive Alda Merini). Eppure madri, compagne, sorelle tracciano percorsi, al fascino dei quali è difficile sottrarsi: non possiamo smettere di assicurare luoghi di speranza condivisa che eu-topia di un mondo più bello per noi e per tutte e tutti sia possibile e cominci a diventare almeno temporaneamente reale.
«Noi che viviamo in un mondo nel quale la giustizia, la misericordia e l’accordo con la maggioranza dei nostri simili costituiscono una sospensione delle norme sociali praticate tanto rara e fragile (…) dovremmo imparare a guardare con maggior simpatia, e quindi con maggior interesse scientifico, alla tenacia con la quale i cristiani della tarda antichità assicurarono l’esistenza nel loro mondo di luoghi nei quali gli uomini potessero trovarsi alla presenza penetrante e misericordiosa di un compagno di condizione umana». Così si conclude un piccolo e geniale libro di Peter Brown,2 che studia da storico l’inizio del culto dei santi cristiani nella tardoantichità.
Compagne e compagni di umana condizione ci regalano memoria (pericolosa) e ci accompagnano. Buona festa dei santi, dunque.
1 Alejandro Garcìa-Rivera, «The Church is Beatiful and Holy», in: William Madges, Michael J. Daley (a cura di), The many Marks of the Church, Twenty-Third Publications, New London/CT, 2006, 72.
2 Peter Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Einaudi, Torino 1983, qui 171.