Un Sinodo su di noi… senza di noi
Dopo aver discusso dei pregiudizi, stereotipi e discriminazioni che colpiscono le donne, la Pontificia commissione per l’America latina ha lanciato l’idea di «un Sinodo della Chiesa universale sul tema della donna nella vita e missione della Chiesa». L’ipotesi è suggestiva, ma suscita anche molte perplessità di non poco conto.
Nello scorso marzo la Pontificia commissione per l’America latina ha lavorato in assemblea plenaria sul tema "La donna, pilastro nell’edificazione della Chiesa e della società in America latina" e, nel confronto onesto e serrato, ha rilevato che il loro protagonismo, anche se ovvio in quanto le donne costituiscono la maggioranza di coloro che partecipano attivamente e con passione alla sua vita, non è adeguatamente coscientizzato, anzi spesso viene avversato da carenze pratiche (scarsi contatti di seminaristi, presbiteri e vescovi con il mondo femminile) e strutturali (mancanza delle donne nei processi decisionali della Chiesa). Tale è la situazione che, al termine del documento finale, il tema “donna” viene proposto all’attenzione della Chiesa intera, come è stato fatto in precedenza per la famiglia e come si sta facendo per i giovani: si auspica cioè un Sinodo dei vescovi sulla donna.
Perché no? Quella femminile è una questione importante, cruciale per la Chiesa di domani. Le donne si stanno disaffezionando all’esperienza ecclesiale, la loro mancanza intacca quanto ancora rimane della trasmissione della fede in famiglia: perché non sedersi e discuterne? Dovremmo esserne entusiasti e, soprattutto, entusiaste: finalmente abbiamo visibilità e la nostra condizione nella comunità cristiana viene analizzata, ci si accorge dei nostri problemi. Finalmente.
Il rischio del paternalismo
Perché allora non accogliere con entusiasmo l’idea di un Sinodo dei vescovi sulla donna? Semplicemente perché le donne non sono un tema da fare oggetto di discussione, ma sono soggetti responsabili e intelligenti. Invece non solo non sarebbero le protagoniste della riflessione, ma su di loro, poste ad oggetto, sarebbero chiamati a parlare uomini maschi e celibi, cioè quotidianamente distanti dal mondo femminile. Il problema però non sarebbe la competenza di questi ultimi (anche il Sinodo sui giovani vede come protagoniste tutte persone mature, avanti negli anni), ma che le donne verrebbero trattate da altri, come se non fossero capaci di parlare di sé, di dire i propri problemi e le proprie aspirazioni. I giovani sono ovviamente capaci di parlare di sé, ma non sono ancora arrivati all’età adulta in cui non hanno più bisogno che chi li ha preceduti faccia la sua parte per introdurli nella piena maturità: si vuole trattare di loro per rimuovere gli ostacoli che impediscono loro un’esperienza di fede piena e l’inserimento nella vita dalla Chiesa. In che modo, invece, un Sinodo dei vescovi riuscirebbe a parlare delle donne già adulte?
Il punto è che rischiamo di pensare per l’ennesima volta che dei maschi da soli sappiano cosa sia bene per tutti, anche per le donne, e di credere che possano occuparsi di loro con cura amorevole per aiutarle a vivere meglio nella struttura (pensata al maschile) che le ospita. Ogni donna adulta sa che questo si chiama paternalismo e che è un rischio in cui la Chiesa cattolica rischia di cadere continuamente, considerando in fondo le donne come qualcuno da custodire, da proteggere, di cui farsi carico (che è esattamente quello che facciamo con i bambini). Ci manca solo, con tutte le difficoltà che il popolo cristiano vive per riconoscere alle donne un pieno protagonismo ecclesiale e una posizione emancipata e di leadership, un sinodo in cui i vescovi ci spieghino che cosa le donne sono, quale sia la loro vocazione e cosa desiderano.
Dove sta veramente il problema?
Se davvero i problemi registrati dalla Pontificia commissione per l’America latina sono condivisi, allora occorrerebbe riunire, forse, un Sinodo sul maschilismo nella Chiesa, oppure, più direttamente, si potrebbe cominciare a rimuovere quegli ostacoli giuridici, dottrinali e di prassi ecclesiale che impediscono alle donne di assumere ruoli decisionali e che le inducono alla disaffezione perché misconosciute o respinte.
Ci sono ancora numerosi e inspiegabili ostacoli legati al diritto e alla prassi che tengono le donne in condizione di minorità: dal misterioso divieto ad accedere ai ministeri laicali, all’esclusione totale dalla predicazione liturgica (e da gran parte della predicazione in genere), alla quasi inesistente possibilità che una donna ricopra ruoli decisionali o di guida. E sono solo pochi esempi fra quelli possibili. Ci si potrebbe poi allargare al rifiuto viscerale che molti cattolici hanno alla sola idea di studiare la questione dell’ordinazione femminile, almeno diaconale. La sola presa in considerazione di imporre le mani su un battezzato di sesso femminile fa gridare allo scandalo tanti credenti, formati e non. Inoltre, ogni volta che si tratta della questione femminile o ci si trova di fronte a stereotipi e slogan che tendono a farci sentire a posto (una su tutte: “il genio femminile”) oppure si rifiuta di confrontarsi sul tema.
Creare le condizioni per un ascolto autentico
Un concorso di forze fra più enti ha organizzato per il prossimo 9 maggio ad Assisi la Giornata di studio “Va’ e ripara la mia casa. Quale diaconìa per la Chiesa?”, che cerca di tenere insieme più temi in vista del dibattito sulla riforma della Chiesa, compreso il tema del femminile: quanti sentono la necessità di tali riflessioni e quanti storcono il naso se si tratta di porre la questione della condizione delle donne nella Chiesa?
Se riuscissimo a promuovere prassi e normative più giuste, capaci di valorizzare la vitalità carismatica e ministeriale delle credenti, forse non avremmo più bisogno di pensare un sinodo sulla donna, perché lasceremmo che lo Spirito e la Chiesa di donne e di uomini facciano ciò che è loro proprio. Si può solo ipotizzare che la soluzione possa essere prendere di petto il maschilismo clericale che tutti e tutte ci portiamo dentro, ma con certezza possiamo affermare che essa non sta a discutere sulle donne e, per di più, senza di loro o con una loro presenza marginale, come accadrebbe nel Sinodo dei vescovi.
Le donne non sono un ambito pastorale, né sono un problema, le donne sono Chiesa, esattamente come i maschi. Se si vuole parlare della condizione disagiata in cui la Chiesa di cui sono membra le costringe, ben venga, ma non ne possono parlare i vescovi, su questo i vescovi – per citare il bellissimo discorso di papa Francesco in occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi – devono anzitutto ascoltare. Noi tutte non vediamo l’ora. In piena sinodalità.