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Il Regno delle Donne

Sull’orlo della crisi: diaconato e donne, una questione aperta

Conclusi i lavori della commissione istituita da Francesco, i cui risultati si auspica vengano resi pubblici, si apre un’altra fase per un tema che dalle considerazioni storiche deve passare a quelle teologiche e pastorali.

A tre anni esatti dall’Assemblea delle Superiore Generali (UISG) ricordata quasi unicamente per la domanda sul ministero diaconale femminile, papa Francesco torna sulla questione, intrecciandola alla vergogna delle violenze e all’invito alla profezia delle periferie. Anche in questo caso, non c’è dubbio, “tutto è connesso” (Laudato si’, n. 16). L’occasione è simile, anche se il dialogo questa volta si può solo intuire dalle risposte.

Del diaconato Francesco parla in una modalità molto particolare: inattesa e interlocutoria, complessa come lo è ogni cosa in questa stagione ecclesiale. La commissione, dice, ha infatti lavorato ma non è giunta a un parere unanime. Ne è risultato tuttavia un testo, consegnato in questa occasione alla Presidente dell’UISG: dal momento che non si tratta di cosa riservata alla vita consacrata, ma relativa alla Chiesa tutta, siamo convinte che ben presto tutti potremo leggerlo, anche se si tratta di un semplice gradino per ulteriori approfondimenti.

Gli studi vanno avanti

Ulteriori studi e rinnovata riflessione sono infatti, sembra di capire, il comune denominatore delle cose che sono state dette in questa occasione, in maniera simile a quanto già espresso sul volo di ritorno dalla Macedonia. L’invito a studiare ancora è certo un messaggio molto positivo, che viene a confermare le fatiche di un cantiere sempre aperto: basti segnalare due recentissimi contributi di Moira Scimmi, già autrice di uno dei migliori studi sulle diacone nella Chiesa antica[1]: Il contributo all’indagine storica in ordine alla questione attuale circa la possibilità di ammettere le donne al diaconato permanente: i testi liturgici di ordinazione nella tradizione greco-bizantina, su «Rivista liturgica» (2018/4, pp. 103-124), e La questione del diaconato delle donne e lo snodo del 1973, su «La Scuola Cattolica» (2019/1, pp. 69-97). Ricordiamo anche le sessioni di studio ospitate ormai regolarmente a Vicenza e già in programma anche per il prossimo ottobre.

Questa spinta propulsiva è positiva dunque per più aspetti: intanto perché se si può dire, con semplicità e senza paura di sembrare presuntuose, che studieremmo la questione anche senza spinta, è molto diverso farlo sapendo che questa attività è non solo tollerata, ma anche desiderata, che non si ha paura dello studio. La crisi, in questo caso “di nervi”, è infatti anche quella di ambienti affetti da sindrome inquisitorio/compulsiva, che si agitano in maniera scomposta soprattutto attorno a tutto ciò che riguarda, anche remotamente, i temi ministeriali. Questa rassicurazione può far loro del bene (sempre che non li getti in uno sconforto ancora più grande a causa di resistenze incoercibili, ma in quel caso i problemi sarebbero di altro tipo).

Le divergenze aprono spazi sinodali

In secondo luogo è positivo perché nel linguaggio ecclesiastico, anche in quello bagnato nella spontaneità di Francesco, il risultato di posizioni non identiche apre spazi sinodali importanti, significa che a fronte dei dubbi, sia di tipo storico che dogmatico, ci sono altrettante opinioni opposte, che riconoscono nei testi liturgici antichi veri riti di ordinazione, che ritengono aperto il discorso sistematico sul piano sacramentale, che vedono l’urgenza di una diversa presenza ministeriale di uomini e donne nella Chiesa. Se così non fosse, la commissione avrebbe portato univocamente a un diniego, cosa che non è avvenuta.

Non si dimentichi che nel cuore del Nuovo Testamento quello che siamo soliti indicare come Concilio di Gerusalemme (Atti 15) si è svolto perché le diverse persone implicate “discutevano animatamente”. Del resto i tre canoni che ne escono sono così contestualizzati che non solo sono ben presto caduti, ma anche difficilmente li ricordiamo – no animali soffocati nel sangue, ad esempio! – mentre la sfida di una Chiesa inclusiva, per quello che era allora la crisi ecclesiale, è stata presa così sul serio che anche gli uomini, nel senso di maschi, vengono solo battezzati e non anche circoncisi, neanche in vista del ministero, se non sbaglio.

Certo il carattere interlocutorio della questione porta con sé anche altro, e cioè quanto meno un rischio e una indicazione.

Il rischio dell’immobilismo

Il rischio, non poi così remoto, è quello di non muovere una paglia: come ci è capitato di dire altre volte, oggi come oggi, dopo il dibattito suscitato, l’immobilismo sarebbe un segnale negativo, che, a torto o a ragione, andrebbe a sommarsi ai molti altri malesseri, ben più gravi, dalle violenze in avanti: in questo senso la “crisi” sarebbe quella della credibilità dell’istituzione. Non a caso Maria 2.0 e lo sciopero delle donne cattoliche in Germania richiamano l’attenzione non ai problemi delle donne, di qualsiasi età, ma a quelli della Chiesa.

Non solo storia

L’indicazione invece si intuisce dall’oscillare dei temi fra le prove storiche e gli orizzonti dogmatici, nonché nell’uscita un po’ a sorpresa dall’ingessato silenzio delle curie, per raggiungere comunque i diversi livelli del dibattito: dei laici, come sto facendo ora io, dei vescovi e dei sinodi, come suggerisce Phyllis Zagano), primo fra tutti certo quello imminente dell’Amazzonia. L’indicazione è dunque quella che non si può aspettare di avere dimostrazioni more geometrico dalla tradizione, che pure in questo caso è ricca di spunti, ma si deve portare il discorso sul piano teologico (si vedano ad esempio i contributi di Andrea Grillo qui e qui, e quello di Pierluigi Conforti) e pastorale. Magari anche con un po’ di audacia e di franchezza: ma questi sono anche doni dello Spirito, oltre che doti che se uno non ha “non se le può dare”.

 

 

Per approfondire:

 

 

[1] M. Scimmi, Le antiche diaconesse nella storiografia del XX secolo. Problemi di metodo, Glossa, Milano 2004.

Commenti

  • 24/05/2019 Cristina Simonelli

    Gentile Emanuela, direi che ha proprio ragione, è quanto meno singolare. Ma il nostro intervento è anche per chiedere la sua pubblicazione per tutti. Sono convinta che UISG e USMI chiederanno questo insieme alle teologhe e a tanti altri.

  • 23/05/2019 Emanuela M.

    Gentile Cristina Simonelli, mi può spiegare perchè il testo è stato consegnato alla Presidente dell’UISG, e non a una rappresentanza delle donne nella chiesa, fatta di laiche e di consacrate? Non si corre il rischio di una "clericalizzazione", che seppur con sfumature diverse dà continuità a quella esistente? Attendo il suo parere. Grazie Emanuela M.

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