Sinodo: le politiche e l’apprendimento
Una teologa che ha fatto parte di una commissione teologica al Sinodo ha scritto alcune considerazioni, alla vigilia della sua conclusione. Un post vecchio? No. E’ piuttosto un’istantanea in un tempo sospeso e dilatato, cifra di quanto segue il Sinodo, come processo oltre l’evento. Con una attenzione particolare alle parole delle donne e sulle donne.
Prendere la parola, a Sinodo che si sta chiudendo, provando a fare qualche considerazione è operazione ad altissimo rischio di smentita, sia perché non abbiamo ancora conoscenza della Relazione finale (che sarà resa pubblica all’indomani rispetto alla stesura di questo testo), sia perché una vicenda come questa apre a molte diverse interpretazioni e letture.
Un evento complesso, a tratti confuso
Questa mi sembra proprio la prima considerazione da assumere nella discussione: abbiamo visto succedere un evento complesso (e in alcuni casi confuso, almeno considerato da chi non ha partecipato in prima persona). Si è trattato di un evento di apprendimento collettivo di prassi, metodi, procedure e stili; come tutti gli apprendimenti veri, si sperimentano errori di percorso, incomprensioni e fatiche. Più difficile vedere i risultati, l’apprendimento ha bisogno di tempo.
Le donne al Sinodo: punto di non ritorno?
Seconda considerazione: la presenza delle donne al Sinodo, con diritto di voto, è già un fatto, ed ha funzionato da accelerazione di alcune dinamiche (e anche errori) sinodali. Si potrà dire che non si è raggiunto nulla perché la questione del diaconato alle donne è stata avocata dal papa a sé, sostanzialmente, e rimandata come non matura. Ma che uomini e donne abbiano espresso il loro disagio rispetto alle modalità e agli atteggiamenti del Prefetto della Dottrina della fede e alle sue comunicazioni sul tema, fino ad ottenere un incontro di chiarificazione dove si è provato a spiegarsi reciprocamente e dove si è spezzato (definitivamente?) il muro della regola del silenzio, non è affatto poco. Contrariamente alle regole sinodali si è deciso di rendere immediatamente pubblico questo incontro e si può ascoltare integralmente qui. E consiglio di farlo con attenzione, specie agli ultimi interventi del dibattito.
Si può essere d’accordo o no con le valutazioni politiche fatte nel merito dal Prefetto, ma il discorso è chiaro (ad esempio, combattere l’essenzialismo della comprensione delle donne: “Da smontare è quello che si dice spesso sulla natura femminile nella chiesa, che le donne hanno un proprio genio e che questo genio è la dolcezza, la vicinanza, queste caratteristiche, questi stereotipi di donna” [sic!]) e mette sul tavolo le questioni. Scrivo politiche nel senso più nobile di questa parola: è chiaro che le scelte sono scelte di governo della Chiesa, né verità assolute, né principi inderogabili, e viene presa la responsabilità di assumere una decisione (ora, no al diaconato) e si indica un quadro di questioni da approfondire (teologiche, ma non solo: si dice esplicitamente che la vita e le esperienze delle donne nelle chiese sono come tutte le esperienze credenti luogo teologico).
Mi viene il sospetto che siamo tentati di confondere la narrazione con la realtà: e ci attendiamo narrazioni vincenti per dire che il Sinodo ha funzionato (dove vincenti spesso vuol solo dire che sia mediaticamente visibile e d’accordo con quello che io pensavo già prima). Ma la realtà è quella di un guazzabuglio complesso, fatto di tante vite e culture, che fatica e cerca di imparare a muoversi dopo almeno 5 secoli di immobilità, nei quali si era arrivati a teorizzare l’immobilità come sinonimo di verità. Non a caso il card. Ottaviani, certo non amico del Concilio Vaticano II, aveva come motto episcopale Semper idem…..
Siamo in un grande e doloroso percorso di fisioterapia, neppure sappiamo quali sono i muscoli che dobbiamo muovere. Ma il Sinodo, mi pare, la decisione l’ha presa: reimparare a camminare. Sapranno ancora una volta le donne fare la loro parte? Sono convinta di sì e spero solo che la misura della pazienza di molte di noi non si esaurisca proprio adesso… sarebbe più che comprensibile, ma assai triste.