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Il Regno delle Donne

Pasqua e corpo

La Pasqua offre un punto di vista audace e trasgressivo su come vivere e relazionarci con i nostri corpi e con i corpi degli altri nel quotidiano, giorno per giorno. «Per questo, noi donne credenti, a partire dalla Pasqua, gridiamo a pieni polmoni: ci vogliamo vive!».

 

Nelle manifestazioni organizzate dalle donne negli ultimi anni vengono ripetute le frasi «ci vogliamo vive!», «i nostri corpi, le nostre vite»: tali affermazioni, insieme ad altri slogan e ad altre parole d'ordine, si riferiscono chiaramente alle aggressioni e alle uccisioni machiste che si susseguono incessantemente.[1]

La relazione corpo-vita, ovvia per qualsiasi essere umano, va doppiamente ricordata quando si tratta di donne. La Pasqua esalta questo stretto vincolo fra vita e corpo precisamente con le donne e attraverso le donne.

Il corpo nella Pasqua

Le scene evangeliche prepasquali, propriamente pasquali e postpasquali sono scene eminentemente corporee. I Vangeli si occupano soprattutto del corpo vivo di Gesù e solo il minimo indispensabile del corpo morto, del cadavere. La presenza del corpo è talmente pervasiva da risultare impercettibile, con un effetto paradossale che è evidente quando l'angelo annuncia nella tomba vuota che il corpo senza vita di Gesù non c'è e le donne vedono solo i segni del suo passaggio nel sepolcro; per la maggior parte del tempo narrativo, invece, il paradosso rimane implicito.

La scena dell’unzione che anticipa la Pasqua è contrassegnata dalla corporeità dei personaggi (cf. Mc 14,3-9 e par.; Gv 12,1-8): la relazione tra la donna (anonima in Marco e Matteo, Maria di Betania nel quarto Vangelo) e Gesù è esplicitamente corporea; più avanti, le donne che osservano i momenti finali della vita di Gesù e il luogo in cui depongono il cadavere sono legate al suo corpo (cf. Mc 15,40-41 e par.) con l'intenzione, poi messa in atto, di andare a imbalsamarlo secondo il costume (cf. Mc 16,1-3 e par.).

Nella scena della tomba vuota la corporea assenza presente è fondamentale per l'annuncio della resurrezione. La narrazione giovannea dell’incontro fra il Gesù risuscitato e Maria Maddalena (cf. Gv 20,10-18), da parte sua, manifesta l'importanza del corpo, quel corpo che Maria vuole continuare a toccare, a trattenere: i sensi si trasformano nella forma privilegiata dell'incontro e del riconoscimento di Gesù da parte di Maria. E in altre scene successive alla Resurrezione, nello stesso Vangelo e in alcuni dei sinottici, Gesù si dà a conoscere ai suoi discepoli e discepole mediante la “prova” del suo corpo: mangia, chiede che lo tocchino... (cf. Lc 24,33-42).

I racconti evangelici nei quali le donne rivestono uno speciale protagonismo mostrano la stretta relazione che c'è tra Resurrezione e corporeità. È una relazione non facilmente spiegabile a causa del suo carattere paradossale, ma in essa c’è qualcosa di fondamentale per la fede cristiana, che è rimasto nel Simbolo nella frase «credo nella resurrezione della carne». Certamente, carne e corpo non sono termini perfettamente sinonimi, però non si può negare la stretta connessione fra le due espressioni.

La Pasqua nei corpi storici

Frequentemente questa relazione corpo/carne e resurrezione è stata riferita all'aldilà, all'altro lato della morte, proiettando fino a quel mondo sconosciuto il corpo di carne e dimenticando, per disgrazia, che nelle scene evangeliche è la resurrezione a entrare qui, nella storia, nella vita quotidiana.

È la Pasqua a inondare e impregnare la corporeità. I sinottici includono nell'annuncio pasquale il comando di tornare in Galilea dove «lo vedranno» e il quarto Vangelo lo afferma anticipatamente nella narrazione dell'unzione di Maria di Betania su Gesù.

I corpi pasquali e le donne

Marco racconta che le donne della tomba vuota sono portatrici di un messaggio nel quale la Pasqua si capisce solo recuperando tutto l'itinerario di Gesù dal punto di vista (risorto) che acquisiscono salendo al sepolcro (cf. Mc 16,7). Tutto questo, vivendo fino in fondo quell’esperienza e la paura potente che impedisce loro di parlare. Tornare in Galilea è recuperare la corporeità presente trasversalmente in tutto il racconto evangelico, ora impregnata, grazie alla Pasqua, della consapevolezza della sua profonda dignità.

Secondo il racconto giovanneo della unzione fatta da Maria di Betania su Gesù (cf. Gv 12, 1-8) in un banchetto in cui si mangia e si beve, nel quale ella versa senza misura profumo di nardo e tocca con i suoi capelli e le sue mani i piedi di Gesù, la Pasqua anticipata offre la consapevolezza della sensualità del corpo, del piacere e della bellezza del gusto, dell'olfatto e del tatto.

La Pasqua anticipata inonda e impregna tale sensualità. Così non solo dà la possibilità etica di prendere coscienza della dignità corporea umana (Marco), ma offre anche l'opportunità estetica di recuperare il gratuito e il non quantificabile come segno pasquale che si sperimenta nel corpo.

Dignità e bellezza, giustizia e gratuità. Etica e estetica. Senza separazione. In maniera connessa: l'uno e l'altro. Qui sta la Buona Notizia. Nei corpi resi degni d'onore, vivi e vitali percepiamo i germi attivi del Regno. E tutto questo mediante incontri, presenze assenti, assenze presenti, annunci e paure, di cui sono protagoniste loro, le donne della Pasqua.

La relazione umana che si realizza mediante il corpo è estremamente complessa: relazione con se stessa e con una simile, relazione con gli altri, vicini e lontani... I corpi reali, storici, sono letteralmente distrutti, da una parte, e, d'altra parte, esaltati. Il carattere attribuito ai corpi delle donne radicalizza continuamente questi due poli, ovunque, a causa del patriarcato esterno (sistema neoliberista, sociale, politico, economico, familiare) e del patriarcato interno, interiorizzato sia pure in maniera diversa da donne e uomini.

La lenta abrogazione della legittimità del patriarcato, la lotta contro di esso, è già pasquale e segno della Pasqua che ha impregnato di sé la storia. La Pasqua continua a offrire un punto di vista audace e trasgressivo su come vivere e relazionarci con i nostri corpi e con i corpi degli altri nel quotidiano, giorno per giorno. Suggerisce, per la fede, di accogliere e portare senza sosta la Resurrezione, di portarla e riceverla nella storia, come etica, come profonda e attiva coscienza di dignità, certo, ma anche come gioia, come bellezza, come gratuità, come potente fattore di trasformazione.

Per questo, noi donne credenti, a partire dalla Pasqua, gridiamo a pieni polmoni: ci vogliamo vive!

 

[1] https://nonunadimeno.wordpress.com/2016/10/21/ni-una-menos-vivas-nos-queremos-lappello-delle-donne-argentine-e-latinoamericanehttps://www.facebook.com/notes/ni-una-menos/la-marea-no-se-detienenosotrasparamos/733989093458942/ 

[*] Traduzione di Cristina Simonelli

 

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