Parrocchia: sogno di una notte di mezza estate
C’è stato un errore di assemblaggio nella recente Istruzione della Congregazione per il Clero sulla conversione pastorale comunità parrocchiale? La parte centrale sembra appartenere a un altro documento.
C’è stato un errore! La recente Istruzione La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa emanata dalla Congregazione per il Clero inizia e conclude con affermazioni davvero importanti: insiste moltissimo sulla necessità di rinnovamento delle comunità parrocchiali in un contesto sociale profondamente mutato, invita alla creatività, al dinamismo, al cambiamento di mentalità, a una conversione pastorale in senso missionario... Sottolinea anche ripetutamente che il compito dell’evangelizzazione spetta a tutto il popolo di Dio. «Infatti – afferma – è la comunità intera il soggetto responsabile della missione, dal momento che la Chiesa non si identifica con la sola gerarchia, ma si costituisce come Popolo di Dio». D’altra parte il sacerdozio battesimale abilita ogni credente ad assumersi la responsabilità della Chiesa “in uscita”…
Che bello, mi sono detta.
Ma, appunto, ben presto mi sono accorta che qualcuno doveva avere assemblato per errore due documenti diversi, dato che la lunga parte centrale non è per nulla coerente con l’introduzione e la conclusione. Sembra infatti che gran parte del documento provenga da un vecchio commentario del Codice di diritto canonico, molto preoccupato di lasciare le cose come stanno e di preservare l’autorità della gerarchia e la funzione di mero supporto ad essa delle altre componenti ecclesiali. Sicuramente c’è stato un errore, mi sono detta.
E così mi sono data da fare e ho fortunosamente recuperato il testo originale che mi permetto di riassumere:
«Le parrocchie sono fondamentali luoghi di vita cristiana e di “partenza” per la missione, ma dato che la loro dimensione territoriale è ormai superata o comunque insufficiente, è necessario pensare a nuove forme comunitarie e di presenza missionaria per essere dove le persone vivono: luoghi di lavoro, di vacanza, di attività sociale, economica, di relazioni sui social media...
Per questo sarà necessario creare o rafforzare realtà come le “diaconie” affidate a gruppi di credenti, testimoni credibili, particolarmente motivati e preparati per annunciare il Vangelo nelle ordinarie situazioni di vita. Essi si ritroveranno periodicamente con altri analoghi gruppi a livello diocesano per la preghiera comune e il confronto.
Potrà anche essere opportuno accorpare, fondere o federare parrocchie. A tal fine in ogni diocesi saranno coinvolti il Consiglio presbiterale e i Consigli pastorali interessati promuovendo anche momenti di confronto più ampio con assemblee di fedeli e avendo cura di valorizzare i contributi delle associazioni laicali e delle congregazioni religiose.
Queste nuove realtà vedranno la collaborazione stretta delle varie componenti del popolo di Dio che impareranno ad agire e a decidere in modo collegiale superando la rigida e vecchia separazione di ruoli. I vescovi incoraggeranno questa collaborazione sull’esempio delle coppie di sposi che condividono problemi, progetti e decisioni.
La celebrazione dei sacramenti sarà ricondotta alle rispettive specificità. Credere fermamente che l’Eucarestia è fonte e culmine della vita cristiana non può tradursi nella necessità di celebrarla in ogni occasione. È opportuno valorizzare il rito del matrimonio e il ruolo degli sposi come ministri, il rito delle esequie come momento di preghiera e di fiducia nella resurrezione, il battesimo in tutti i suoi eloquenti segni che introducono alla nuova vita in Cristo. E in tutti questi momenti sia valorizzato il ruolo della comunità che celebra superando l’abitudine a considerare il presbitero sempre indispensabile e al centro di ogni rito.
Nella celebrazione eucaristica domenicale sia reso visibile il protagonismo del popolo di Dio e il presbitero eviti di considerare il presbiterio come un palcoscenico e l’omelia come una chiacchierata improvvisata. Sarà quanto mai opportuno incoraggiare religiose, religiosi, laiche e laici particolarmente preparati a commentare il Vangelo della domenica arricchendo la comunità di contributi complementari a quelli del presbitero.
Sia in ogni caso incoraggiata una ministerialità diffusa senza rigide differenze di grado e tanto meno anacronistiche e antievangeliche preclusioni di sesso. La carenza di presbiteri non sembra temporanea quindi è bene che la comunità impari a vivere nella corresponsabilità. Sia incoraggiato e valorizzato in modo particolare il prezioso ruolo che tante persone consacrate e laiche già svolgono nelle celebrazioni domenicali della Parola quando non è possibile l’Eucarestia, ma anche nella catechesi, nel conforto agli ammalati, nella carità.
In ogni parrocchia siano costituiti il Consiglio per gli affari economici e il Consiglio pastorale.
In più, come già avviene in alcune comunità, il presbitero sia affiancato da un piccolo gruppo di persone che condividono costantemente con lui preoccupazioni, progetti, amicizia.
È assolutamente vietato condizionare la celebrazione di sacramenti a offerte in denaro.
Come criterio generale di comportamento si raccomanda di riconoscere assoluta priorità al testo evangelico rispetto a qualunque altro testo normativo che sia catechismo, codice di diritto canonico o altro».
Più meno è questo ciò che ho letto in anteprima nel documento giusto.
Ma poi... mi sono svegliata!