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Il Regno delle Donne

Ogni coppia è unica, come la sua fecondità

Rileggere oggi l’enciclica Humanae vitae significa assumere seriamente la complessità dei rapporti tra i sessi e del concetto stesso di fecondità. Più che “manuali d’istruzione” sull’amore, la famiglia e la regolazione della fertilità, serve il discernimento che accompagna la crescita delle persone e delle relazioni. Spunti da un ciclo di conferenze in Gregoriana.

Il 25 luglio 1968 Paolo VI pubblicava l’enciclica Humanae vitae. Al passaggio, rivoluzionario sotto tanti punti di vista, degli ultimi cinquant’anni, i suoi contenuti chiedono di essere sapientemente (ri)considerati anche attraverso una lente interdisciplinare, che metta a confronto varie scienze (ad esempio, la pedagogia, la sociologia, l’economia, la demografia, la psicologia, la medicina, la teologia).

Questo, da una parte per rendere ragione dei cambiamenti che sono intervenuti nella coppia e nella famiglia tanto come istituzione, quanto come comunità di affetti e di generazioni; dall’altra per non far torto al principio di incarnazione, che richiama alla concretezza del Regno nella storia e che non può e non deve venire mai meno nell’analisi della realtà.

Sono stati questi gli intenti, lo spirito e il metodo di un ciclo di conferenze organizzato dalla Facoltà di Scienze sociali e dal Dipartimento di Teologia morale della Pontificia università gregoriana, da cui sono emerse alcune indicazioni di fondo.

Conoscere, non difendersi

L’affresco dell’oggi delle relazioni umane è articolato e caleidoscopico, per cui è difficile e scorretto porre giudizi lapidari e gabbie di significato intorno alla famiglia e a chi la compone. Va preso atto che il cambiamento storico e culturale delle relazioni fra i sessi e fra le generazioni è in larga parte irreversibile; proprio per questo allora, chiudersi in un fortino armati fino ai denti, nell’attesa che la grande minaccia della (post)modernità invada e distrugga le buone tradizioni di una volta, è anacronistico e pericoloso ai fini di una sana e costruttiva convivenza civile.

La realtà di tutti i giorni di tante coppie e famiglie va conosciuta, compresa, accolta e sostenuta, immaginando e realizzando percorsi economici, politici e culturali di integrazione e vicinanza. Il “noi e loro”, che sembra andare tanto di moda oggi, è un motto che possiede un intrinseco potere distruttivo, anche e soprattutto all’interno di uno stesso principio aggregante condiviso. Anziché pensare insieme per rendere concreto un obiettivo comune, si pensa a strategie di separazione e battaglia utilizzando il più delle volte un filtro moralistico a maglie strette.

La complessità del presente – il paradigma con il quale papa Francesco ha interpretato la realtà in Amoris laetitia – impone metodi di analisi che implicano il tempo e l’inclusione, non certo la fretta e l’esclusione. Questo vale per ogni argomento si voglia affrontare che riconosca la famiglia come soggetto principale.

Quando l’amore è fecondo?

Humanae vitae ha rappresentato per cinquant’anni il paradigma sul quale impostare ogni discorso sulla fecondità dell’amore; Amoris laetitia parla dello stesso tema in termini di discernimento. Evidentemente non si tratta di stabilire chi sbaglia e chi abbia ragione, ma piuttosto di interpretare i segni dei tempi alla luce del Vangelo e sostenere la parola fecondità con significati che vanno ben al di là del risultato biologico della procreazione.

Se l’amore di una coppia è fecondo, lo è non solo nei termini della numerosità della propria fertilità biologica, ma anche e soprattutto se l’uomo e la donna che compongono quella coppia, sappiano «rendersi a vicenda più uomo e più donna» (AL, n. 221). In altri termini, se l’uomo e la donna coinvolti nella relazione, vedono sé stessi divenire negli anni sempre di più chi desiderano e vogliono essere, alla luce di una crescita della propria persona, che fugge da descrizioni stereotipate e da imposizioni che vengono dall’esterno.

Ogni coppia fa storia a sé, ogni donna è donna come lei stessa è, ogni uomo è uomo come lui stesso è.

Modelli e ruoli, nessuna imposizione

Una tale prospettiva impone che il primo punto da cui partire perché una coppia sia feconda è che ci sia il più assoluto rispetto dei generi maschile e femminile al suo interno. Che non vi sia cioè alcuna sottomissione, se non quella reciproca; alcun obbligo nell’assunzione di ruoli specifici, se non quelli che la coppia decide di assumere liberamente; alcun incarico precostituito sulla base dell’appartenenza sessuale, se non quelli che sanciscono una collaborazione alla pari fra i sessi. La fecondità dell’amore vuol dire assenza di pretese in una dimensione di affetto e onore reciproci, da desiderare e realizzare quanto più possibile nella relazione di coppia.

Non esiste omologazione, non esistono modelli di riferimento che giustifichino l’asfissia che viene dalla richiesta culturale implicita o esplicita, che tutti e tutte debbano comportarsi in un unico modo per dirsi uomini e donne e che vi sia un solo modo di essere coppia.

Le conferenze pubbliche in Gregoriana hanno messo in luce quanto la complessità del fenomeno “famiglia” – anche e soprattutto se composta da persone credenti – non sia descrivibile da un unico prototipo, ma sia una specifica narrazione di quella relazione altrettanto specifica, nella quale quella donna e quell’uomo hanno voluto costruire un progetto comune, fatto di intese e di realizzazioni, lente, impegnative, ma anche costruttive di sé e della storia.

Un discernimento rispettoso

Il rispetto della diversità, tanto decantato, ha il suo primo fondamento qui: nel rispetto cioè dell’unicità di ogni uomo e di ogni donna e di ogni relazione essi costruiscano. In questo modo il discernimento assume un ruolo centrale nella dinamica feconda di coppia, tanto in funzione della crescita personale di chi quella coppia la compone, quanto in relazione alla capacità biologica di generare.

È anacronistico e presuntuoso oggi imporre alle coppie stili di contraccezione che non scelgono loro stesse, ma è soprattutto paradossale: da una parte infatti si proclama la libertà che essi hanno nella gestione della loro famiglia e di quanto e come possano decidere in relazione alla generazione; ma dall’altra si smentisce la precedente affermazione, non appena i vincoli del discernimento si stringono su binari stabiliti dall’esterno.

Ogni occasione di riflessione, di approfondimento e di confronto su questi temi è anche occasione di crescita e di rinnovamento interiore ed esteriore. Non fermiamo la nostra valutazione al rispetto di poche voci di un “manuale di istruzioni” redatto da altri e non da chi vive in prima persona quello che si intende (erroneamente) regolamentare.

 

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